L’ironia e la drammaticità sono gli strumenti con cui Fatos Kongoli disegna una società albanese che si appropria del bene intimo altrui, violandone la genuinità e costringendo i migliori d’animo a guardarsi dalla continua menzogna. Un libro spiazzante questo Piccoli bugiardi, in cui si offre una via salvifica, dove la salvezza non c’è.
Le prime pagine del diario
Gli telefonò nel cuore della notte. Da sei mesi si vedevano di rado, per caso, non si parlavano e il suo nome era l’ultimo che si aspAettava che comparisse sul dispaly del cellulare. Era incerto se risponderle; considerava chiuso il capitolo con Emma e benché fosse stato riaperto più volte, negli ultimi sei mesi si era ormai persuaso: tra loro non funzionava. Lei era bella, spigliata. Lui geloso. Di questo lo rimproverava la ragazza. E litigavano…
Nel bel mezzo del dilemma di Alpin, che si chiede se rispondere o no a Emma, compare una sorta di euforica presentazione del protagonista, che dialogando con un ipotetico interlocutore, (in parte il lettore, in parte Emma?), disegna il suo profilo sottotono, caratterizzato dall’amore quasi sottomesso per Emma, dalle sue origini contadine e dai complessi scatenati da esse. E continua con il suo discorso che rasenta l’esaltazione, descrivendo la figura paterna e quel suo strano, quanto incantevole amore per la lettura. Ha il complesso delle “sette pelli” il papà; per questo indossa spesso la giacca e la cravatta, si esprime sempre correttamente a differenza dei compaesani e lui…Lui è il prediletto della famiglia.
Affermazioni seguite da una dettagliata e accorata rappresentazione del villaggio N., un posto arroccato sulle montagne, che prima della sua nascita, (forse i genitori lo hanno chiamato Alpin pensando ai monti?), era collegato a Tirana da una strada, definita dagli abitanti del posto malevola. Un pettegolezzo derivante da una realtà vera o presunta, in quanto si vociferava che fosse un percorso creato ad hoc per favorire la caccia al cinghiale. A onor del vero, a cacciare ci andava proprio l’ex Primo Ministro e a quanto pare, pure regolarmente. Una voce che Alpin non aveva sentito certo da suo padre, che quasi gongolava per il loro status di privilegiati. Del resto, avere una via di collegamento tra uno sperduto villaggio e la città, rappresentava un gran privilegio. Può essere che fossero tutte dicerie di un tempo, perché il villaggio N., infondo, era ed è completamente autonomo, con dei propri rappresentanti in Parlamento: o meglio dire, la regione ha sempre avuto un delegato nel Parlamento nazionale.
E poi narra dei genitori, due persone accoglienti di una famiglia patriarcale, ai quali presenterebbe Emma come la donna della vita, quella che ha sempre cercato e loro ne sarebbero felici e questo sarebbe meraviglioso realizzarlo, solo se…lei volesse, ma all’idea storce il naso. E il palazzo dei Quadri? A una decina di minuti a piedi dalla piazza centrale c’è un palazzo, che una volta ospitava i professionisti provenienti dalla capitale e che ha a che fare con la loro conoscenza, perché Emma era lì, ci abitava! Allora, com’è possibile che non ci sia più? Com’è possibile che la ragazza non sia in quel palazzo, così come aveva immaginato? Intanto, il telefono continua a squillare: che vorrà Emma?
L’amore e le bugie
Ti prego di venire il più in fretta possibile, disse lei, se no divento matta! La sua voce sembrava soffocata. Lui capì che doveva esserle accaduto qualcosa di grave, di talmente grave che dopo sei mesi di silenzio, si rivolgeva a lui nel bel mezzo della notte, lo supplicava di andare da lei. L’esperienza vissuta gli suggerì di non crederle. In passato, ogni volta che si trovava nei guai cercava la salvezza da lui e lui si lasciava illudere per rimanere deluso subito dopo.
Sono l’amore e la sua spasmodica ricerca gli indiscussi protagonisti di questo Piccoli bugiardi di Fatos Kongoli: un romanzo che racconta l’urgenza di rinvenire la purezza di un sentimento, strettamente legata ai principi più convenzionali che lo caratterizzano. Alpin fiuta la strada dell’amore e dove si trova, di quell’affettività a tutto tondo, che parte dalla terra e dalla famiglia: due capisaldi per l’uomo appartenente a un popolo, che ha subito una lunghissima chiusura, le cui conseguenze non si sono mai staccate dalla continua evoluzione storica del Paese.
Una narrazione fluida, che sfiora la memoria, ancora troppo dolorosa, ancora troppo sofferente a causa dei soprusi subiti da uno tra i più temibili regimi dei Balcani; la storia è ambientata in parte nella capitale, vista come un magro tentativo di evoluzione e in un villaggio frutto della fantasia e specchio della salvezza, che racconta le montagne impervie dell’Albania, dove l’incanto e il dramma vanno di pari passo. La struttura narrativa è ibrida, in quanto alcune pagine vengono consegnate al lettore sotto forma di diario, altre sono romanzate, con un’unica imprescindibile certezza: questo libro contiene tutto Fatos Kongoli. È tangibile la necessità (in parte illusoria), che caratterizza l’intera opera dell’autore albanese, di descrivere il periodo post comunista come una dimensione in cui è possibile poter fare quello che è meglio, dandosi l’opportunità di scegliere. È importante il riferimento a una realtà interiore del Paese, dove si vorrebbero trattenere i personaggi che animano la storia, in gran parte opposta, se pur non brutalmente, a quella esterna. E ancora, lo scrittore sottolinea amaramente la frustrazione di chi vive la propria esistenza con grande onestà e nonostante questo, è costretto a guardarsi da chi non fa della lealtà il proprio modus vivendi.
Kongoli, con la grande la capacità narrativa che lo contraddistingue, crea un equilibrio perfetto tra il ritmo incalzante e i fatti raccontati, affinché il lettore possa effettuarne un’attenta analisi; motivo per cui, essi non corrono sul filo dell’urgenza, ma vengono posati nella storia come un vetro delicato e trasparente. Lo stile abbraccia la linearità e al contempo la sinuosità, la scrittura è schietta, maltrattata e imbrattata da una traduzione, a tratti, imprudentemente irriguardosa e una revisione alla quale è sfuggita qualche reiterazione di troppo.
In fin dei conti, la delusione
Alpin e la sua concitata ricerca dell’amore, Alpin che vede intorno a sé grandi e cronici menzogneri, Alpin con la sua ingenuità e la sua bonarietà, circondato da affabulatori, da gente pronta a divorare la sua autenticità. Alpin tra le bugie e le angherie perpetrate ai danni di chi si muove pacificamente, a immagine speculare di quanto avvenuto nelle Epoche. E l’Amore? Quello con la A maiuscola? Quello che ti prende il cuore? Tutto porta al bel sentimento che è il filo conduttore del racconto. Una trittica di donne avvolge il cuore del protagonista: Viola, Rovena ed Emma.
Viola è l’unica, agli occhi del giovane, mossa da una buona e vera affettività; pensiero dettato, forse, dalla posizione di difensiva in cui l’uomo si pone, per non andare incontro a delusioni. Poi c’è Rovena, forte, troppo forte, dal carattere determinato, diretta, energica. Infine, Emma, una giovane senza scrupoli, che guarda al sentimento come uno strumento per raggiungere i suoi obiettivi.
L’Amore come fonte inesauribile di forza e disillusione, emblema di purezza, rapita e malmenata dall’animo vile. L’Amore presente sempre, anche nelle delusioni che coinvolgono Alpin, al quale Kongoli tenta di restituire una forma di redenzione e una via di salvezza, offrendogli di tornare al suo villaggio, dove finalmente, (forse), potrà essere al riparo dai piccoli e grandi bugiardi.
