Mi chiamo Ludovik Lamani. Sono nato il 23 agosto del 1956 a Valona, una città sulla costa ionica dell’Albania. Sono l’unico figlio di Durim e Kristina Lamani, che, ahimè, non so che fine abbiano fatto. Condizione attuale: prigioniero politico. Altezza: 184 cm. Corporatura: quattro ossa. Peso: da definire. Capelli: castano chiaro. Occhi: verdi. Passione: la lettura. Idee: azzerate. Voglia di combattere: a mille. Credo che sia tutto. Se dovesse venirmi in mente qualcos’altro, sarete i primi a saperlo… A volte isolarsi aiuta a sentirsi liberi. Ed è ciò che faccio ogni santo giorno, chiuso in una gabbia di due metri per due. La mia mente ha già trovato la terra promessa, un posto lontano e vergine dove il tempo non ha alcun valore, e tutto quello che c’è stato prima non esiste. È bello stare lì, e sì, ci si può anche stare per sempre, ma a un certo punto, non so come mai, ho la necessità di sentire la terra sotto i piedi. Non è facile tornare in una realtà come la mia, ma devo farlo per mantenere l’equilibrio. È ciò che mi dice un medico che passa di qui una volta alla settimana: sostiene che la pazienza sia la miglior medicina per le sofferenze.
È da pochi giorni in libreria La valle dei bambini perduti, l’ultimo romanzo di Antony J. Latiffi, edito da Marsilio Editori; l’autore, per l’occasione, ha deciso di presentarsi ai lettori con il suo vero nome, Artur Nuraj.

La trama
Ludovik Lamani è il detective che indaga sulla morte violenta di Albertina Basha, la giovanissima figlia di un appartenente al Partito. Siamo nella Tirana del1985, dove vige ancora il sistema dittatoriale, anche se il tiranno Enver Hoxha è ormai morto. Il caso si presenta abbastanza complesso e come se non bastasse, una coppia denuncia la scomparsa del proprio nipotino. Lamani, addentrandosi cautamente nelle indagini, scopre che questa non è l’unica sparizione di bambini: sono diversi i casi precedentemente segnalati a Tirana e in altre città, che non hanno mai trovato riscontro per mancanza di prove. Entrambe le indagini si rivelano molto più complicate del previsto e Lamani deve confrontarsi con le intrinseche difficoltà che ogni caso presenta, barcamenandosi tra i problemi che gli crea la Sigurimi (la polizia segreta del regime), e lo spettro delle sue paure, che si manifesta sotto forma onirica e di allucinanti percezioni.
Le storie nella Storia
Sono storie dai risvolti inquietanti quelle che animano questo La valle dei bambini perduti di Artur Nuraj, utili a una narrazione che va al di là del racconto dei fatti e atte a disegnare il profilo politico-sociale dell’Albania durante il periodo del regime e dei suoi anfratti più intimi di Paese martoriato. Protagonista indiscusso del romanzo è il detective Lamani, una figura ben riuscita, dalla mente lucida e al contempo ombrosa, persa nell’intimo più recondito della sua anima.
Le vicende che compongono il romanzo sono ben adattate al periodo storico che fa loro da sfondo; Nuraj consegna al lettore un libro di buona completezza narrativa, in cui il racconto trascina l’interesse del lettore di pagina in pagina, facendo leva sui fatti che hanno caratterizzato uno stralcio di Storia che ha profondamente segnato l’Albania, condizionando la vita e la mente del popolo. L’intelletto dell’individuo è segregato, è lì che risiede la vera prigione; è in quello spazio limitato e infinito che il regime innesca la sua irrazionale dinamica.
Nessuna delusione
Un volume questo La valle dei bambini perduti, in cui le vicende vengono esposte con quel garbo capace di tenere alta l’attenzione di chi legge, con una dovizia di particolari e una cognizione di causa che fa palesemente intendere come la penna sia mossa da studio e preparazione; nulla viene lasciato al caso, tutto segue un filo, qualche volta, sin troppo logico. Lo stile di scrittura è capace di donare alla prosa un profilo altamente descrittivo, tanto da permettere al lettore di entrare nella storia e di non rimanerne spettatore.
Antony J. Latiffi non ha affatto deluso il pubblico e con discreta consapevolezza, si può pensare che Artur Nuraj farà altrettanto.