Riproponiamo in lingua italiana la prefazione del romanzo “I sogni svaniscono al mattino” di Thanas Jorgji, pubblicato per la prima volta ne 1997 e ristampato in occasione del ventesimo anniversario dell’esodo di Agosto 1991.
Come ogni persona, anche le nazioni vivono quello che i mistici definiscono “la notte buia dell’anima”. È successo anche alla nostra e, a quanto pare, una fortuna simile ci perseguiterà anche in futuro. Non perché le notti buie dell’anima siano dannose, ma nel nostro caso sono parte di un processo che viene vissuto da tutte le generazioni senza che se ne tragga un insegnamento reale. Scrivere di questo fenomeno nel suo aspetto religioso è dono di pochi santi quali Johnny della Croce, Teresa d’Avila e infine Madre Teresa, che sono riusciti a cogliere la profondità della trasformazione misteriosa dell’anima soprattutto perché hanno vissuto i processi di cui scrivono con delicatezza e rispetto. Commentare la “veridicità” dei loro racconti è difficile e potrebbe risultare superbo se non si è vissuto in prima persona tali esperienze dell’anima, il cui risultato è la sua purificazione fino a diventare degni di “prostrarsi” di fronte a Dio; è difficile e quasi impossibile capire ed interpretare con obiettività questo processo trasformativo tanto misterioso quanto anche mistico.
Così come i santi sopracitati (che non si trovano solo nel cattolicesimo ma anche in altre ramificazioni del cristianesimo e fedi come l’Islam, in particolare nella tradizione sofista), gli scrittori sono nella loro essenza studiosi dell’anima e delle sue metamorfosi. Raccontare le trasformazioni dell’anima di una persona o di una moltitudine di personaggi in letteratura è una sfida a parte; analizzare e diventare portavoce dell’animo di un popolo e di una nazione intera è un impegno preso da molti ma realizzato con successo solo da pochi.Un simile scrittore di talento, audace e di successo nella letteratura contemporanea albanese è Thanas Jorgji. Il suo primo romanzo “I sogni svaniscono al mattino”, pubblicato per la prima volta nel 1997, segnala l’arrivo nella letteratura albanese di una penna tanto ambiziosa quanto originale.
In questo romanzo esordiente Jorgji non lascia alcun dubbio né al lettore né al critico del fatto che si stia occupando seriamente della cosa. E a ragione.
Così come i santi dell’animo, la trasformazione di cui ci parla Jorgji è originale in quanto si focalizza su un evento vissuto in prima persona: l’esodo estenuante di diecimila persone sulla nave “Vlora” nell’Agosto 1991. Ma l’obiettivo dell’autore non è riportare la sua esperienza. “I sogni svaniscono al mattino” non è un romanzo autobiografico e la testimonianza diretta in un accadimento cosi sconvolgente e simbolico viene usata con maestria dall’autore per riportare con stile originale un’avventura tanto promettente quanto deludente, un esodo dalle note bibliche, un sogno per il quale i coraggiosi disperati devono essere battezzati con l’acqua del mare mentre affogano rischiando la vita all’inizio e fine del loro calvario.
Il viaggio fisico è un tema centrale del romanzo ma più importanti sono l’odissea e la trasformazione dell’animo individuale e collettivo che vivono gli emigranti. È questa la forza di Jorgji. Come un Omero cieco, l’autore abbonaccia la sua presenza fisica. Lui è onnipresente. È ogni persona in ogni angolo di Albania quando inizia il flusso di migliaia di persone che, come una valanga, con una velocità da capogiro si trasformano in un magma incontenibile. È in ogni camion, taxi e treno che ha come destinazione il porto di Durazzo. Egli si arrampica alla fune della nave come hanno fatto migliaia di giovani e vecchi, donne incinte e vittime anonime inghiottite dal mare. Accompagna migliaia di co-passeggeri allo stadio – gabbia di Bari ma allo stesso tempo non “abbandona” l’altra metà rinchiusa nel porto della città che assomiglia più ad uno zoo.
Jorgji, il narratore che si trova ovunque, si metamorfizza come Visar, Rubin, Tino, Helena, Nidha, Niska, Gac, Lazer e Sugar. Egli si “presenta” spesso come “noi”, cosa che lo fa identificare con migliaia di rifugiati e allo stesso tempo rende possibile la creazione dell’empatia e della simpatia nel lettore per le innumerevoli fatiche che i migranti provano da soli o insieme.
Questo modo di posizionarsi del narratore è una trovata originale anche per uguagliare il lettore all’emigrante.
Jorgji è propenso a vedere la persona essenzialmente come un essere positivo, ma non esita a portare alla luce senza pietà anche le parti più animalesche dell’umanità. Personaggi come Lad il vampiro, Pantera, Iena, Coda di paglia, il Rosso Al Capone, Testa di Porro o Pelo di Maiale sono riportati solamente con i loro nomignoli; Jorgji toglie il diritto a questi “reduci del crimine” – come vengono chiamati da Visar, uno dei protagonisti – ad avere nomi normali. L’autore crede indubbiamente che il buono e il cattivo esistano l’uno vicino all’altro, ci sono momenti in cui sembra che il cattivo soverchia il tutto e il concetto di “civilizzazione” diventa una parola senza senso. Gli atti criminali e i gesti macabri di queste persone ti lasciano sconcertato anche dopo aver finito il romanzo. Ad esempio Iena e Lad il vampiro buttano in mare un giovane solo perché dice che non c’è posto dove potersi spostare, oppure la violenza sessuale di una donna e più tardi di Elena alla presenza di tanti testimoni nello stadio. Per Jorgji un’esperienza come quella dell’esodo di Agosto 1991 rappresenta il nadir e il zenit dell’anima umana. L’autore crede che anche se il coraggio umano viene meno temporaneamente a causa dell’istinto di sopravvivenza, generalmente l’essere umano è d’animo cosciente e responsabile. Nell’impossibilità di aiutare le vittime del crimine, in particolare le donne che hanno subito violenza sessuale, gli uomini senza onore sfuggono come ombre per soffrire in silenzio la condanna con la quale si sono puniti per la loro impotenza morale.
Allo stesso tempo, il romanzo registra anche molti atti di carità, forse non importanti e a prima vista anche ordinari, ma nonostante ciò molto significativi: la gente è disposta a contribuire con denaro per comprare acqua e cibo per gli altri dagli speculatori senza scrupoli, oppure dividere il cibo per il quale rischiano la pelle quando li viene lanciato senza dignità al porto e allo stadio.
Jorgji è consapevole del fatto che il suo romanzo non è “divertente”. Scrivere dell’esodo dell’Agosto 1991 quando le ferite, i tormenti e i ricordi sono ancora vivi e più che mai in un periodo in cui la democrazia in Albania appare come una “nascita” prolungata e faticosa, tanto che a volte sembra che si risolverà in un “aborto”, così come ricordare al nostro popolo stanco nell’animo dalla infruttuosa fase di transizione che sembra non avere fine, quanto ha sofferto durante e dopo il regime comunista, non è sadismo ma è una prova di coraggio intellettuale dell’autore e della fiducia che lui ha nelle sue capacità narrative. Questo triste romanzo è soprattutto una prova della fiducia di Jorgji nella forza rigenerante dell’animo del popolo albanese, dell’essere umano che assomiglia ad una fenice che rinasce ogniqualvolta le fiamme della storia bruciano i suoi sforzi sovraumani per sopravvivere.
L’ottimismo è il leitmotiv principale nel libro “I sogni svaniscono al mattino”, soprattutto quando il tragico si associa al comico. Con Jorgji la letteratura albanese ha trovato un nuovo maestro dell’umorismo. Il suo non è semplicemente divertente, ma fondamentalmente filosofico e terapeutico. L’umorismo è presente in quasi ogni momento dell’esodo e diventa il compagno di viaggio più fedele di questi esseri umani sfortunati che abbandonano loro stessi nelle mani di un destino sconosciuto. Il personaggio di Nidha, per esempio, anche se non è una figura centrale (questo romanzo ha come personaggio principale diecimila rifugiati) è forse una tra i protagonisti più comici degli ultimi decenni. È difficile non ridere quando senti Nidha dal cuore grande esprimersi sui passeggeri che carica a Tirana: “Lasciali venire! Così avranno ricordo di me in Italia. Lasciali dire: fino a Durazzo ci ha portato un autista da Korca. Senza soldi!”; oppure quando racconta gradualmente dopo le innumerevoli frecciatine di “Barbabietola” Niske, che il motivo principale della sua emigrazione è diventare “milionario” lavorando come autista in Italia e poi ritornare a Korca per conquistare il cuore dell’insegnante di francese, Marjanka, figlia di Pavlina; oppure quando capisce che nonostante definisca “mascalzone” un ragazzino che strappa via un tappeto dalla tribuna dello stadio, poi egli stesso fa lo stesso “peccato” prima di tornare in aereo a Tirana: prende dallo stadio la coppa di calcio della squadra di Bari. “eh: pensavo di portarla a Korca. Dato che “Skenderbeu” non ha nessuna coppa”, si giustifica Nidha infastidito.
Jorgji usa l’umorismo con scioltezza anche quando descrive l’umiliazione che subiscono gli immigrati nel porto e nello stadio di Bari da parte delle autorità italiane. Come ogni grande scrittore, Jorgji si indigna quando vede come viene schiacciata la dignità umana nell’Italia civilizzata e facente parte della Comunità Europea.
Lui sa valorizzare ed esprimere la riconoscenza per gli italiani semplici come Carla e Domenico i quali sono disposti ad aiutare gli immigrati sfortunati per quello che possono e in maniera dignitosa. Ma la satira di Jorgji critica senza mezzi termini le autorità, la polizia, i mass media italiani e lo stato stesso per il modo in cui vengono trattati gli immigrati dell’esodo di Marzo e Agosto. Giustamente l’autore ricorda agli italiani, a volte con i fatti, a volte con umorismo e a volte con sarcasmo che nel 1943 erano i genitori di questi poveri immigrati che hanno ospitato e protetto dall’esercito nazista migliaia di disertori dell’esercito di Mussolini. Diversamente dallo Stato Italiano, che si muove “per fare qualcosa” per i rifugiati dato che “si vergogna” come risultato della diffusione sensazionale della notizia dell’esodo da parte dei mass media italiani che ha ripreso i disgraziati albanesi dagli elicotteri “fino all’offesa”, oppure dato che vogliono evitare qualsiasi “rimprovero” da parte della Comunità Europea.
All’inizio degli anni ’90 era la gente semplice in Grecia e in Italia che ha aiutato il nostro popolo “disertato” mentre la polizia greca e i carabinieri italiani seguiva gli immigrati albanesi come vengono cacciati gli animali dai cacciatori senz’anima.
L’inseguimento da parte della Polizia nelle strade di Bari dell’autobus guidato da Nidha è una delle scene tragi-comiche più forti nella letteratura contemporanea albanese, degna della penna di Cervantes. Nell’Europa libera sognata con l’ingenuità dei bambini, i rifugiati vengono criminalizzati solo perché sognano di costruire una vita migliore. Questa scena smaschera non solo l’Italia e la Comunità Europea ma anche l’Occidente dove gli albanesi, ancora due decenni dopo l’esodo del 1991, ancora non godono del diritto di emigrare liberamente.
Il fallimento morale dell’Occidente Jorgji lo rappresenta con maestria anche con il ritorno a Tirana di autorità italiane come Dante Calogero, il quale quando l’Italia fascista capitolò è stato il benvenuto in Albania dove si è fatto anche una famiglia.
Dante, oppure Dane, come l’hanno ribattezzato gli Albanesi, soffre della perdita della memoria in seguito ad una ferita di guerra. Il poveretto non sa che i “suoi” italiani lo stanno cacciando dalla sua madre patria dove sognava di ritornare dopo circa mezzo secolo. Il bacio delle mattonelle della piazza principale di Tirana da parte di Dante, il quale crede di essere finalmente arrivato nella città natale Perugia, è una delle scene più trovate dell’ironia drammatica che abbia mai letto finora. Questo momento rappresenta il secondo abbandono di Dante da parte dell’Italia e l’essere diventato nuovamente figlio della patria di adozione.
L’amnesia di Dante è una triste benedizione, mentre l’amnesia dello Stato italiano è moralmente condannabile. Questa idea viene simbolizzata nella conversazione fatta da il capo della Polizia di Bari e Luigi, un ex disertore protetto dagli Albanesi nel 1943 il quale, diversamente da Dante, è riuscito a tornare in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Luigi cerca da ben 50 anni di “ripagare il debito” e per questo motivo parte dal suo paesino verso Bari quando apprende dalla tv quanto stia accadendo nello stadio – ghetto. Quando vede che la sua argomentazione non ha alcun effetto sul capo della Polizia il quale, come un fedele robot dell’apparato burocratico italiano, ricorda a Luigi che le “regole” non permettono che lui possa accogliere i rifugiati, il veterano non esita di ricordargli che se le leggi della guerra fossero state rispettate cinquant’anni prima, lui sarebbe già morto come un “soldato del nostro esercito capitolato”.
Jorgji è uno degli scrittori più produttivi e originale dell’ultimo decennio. Attraverso uno stile che a volte ti ricorda il “kick-writing” di Kerouac, nel suo primo romanzo questo autore registra in prosa il dolore umano con l’intensità che si nota anche nel “Guernica” di Picasso. “I sogni svaniscono al mattino” è indubbiamente il romanzo migliore sull’esodo degli Albanesi alla fine del ventesimo secolo. E non solo degli albanesi. Questo romanzo rappresenta la tragedia di milioni di persone sfortunate per le quali l’emigrazione speranzosa si trasforma in un orrore senza fine. Forse in un futuro molto vicino quest’opera attirerà l’attenzione di qualche regista per riportare su pellicola una delle tragedie più dolorose dei nostri tempi.
“I sogni svaniscono al mattino” è un anti – castello Kadareiano.
I “castellani” di Jorgji sono stati cacciati dall’Europa che non sono andati ad occupare. Il loro allontanamento ha fatto svanire i loro sogni. Ma la loro anima ferita è diventata più sveglia e matura. Loro hanno capito, come tutti noi che siamo emigrati, che il nostro “El Dorado” è la nostra terra che è stata calcata maggiormente da noi che dagli stranieri. Forse la classe politica albanese un giorno capirà questo amaro avvenimento. Più che dai semplici lettori, questo romanzo di Jorgji dovrebbe essere letto dai nostri politici albanesi in modo che migrazioni come quella dell’Agosto del 1991 facciano parte della storia. Ci affidiamo nella speranza.
Pubblicato nella sezione albanese online di Albania News il 22 giugno 2010 . Titolo originale “Thanas Jorgji dhe Emigrimi i Poshtërimit“.
Tradotto per AlbaniaNews da Belina Sinani.