Un sabato alle cinque del pomeriggio vado dal Presidente della Repubblica di Albania. La casa è sorvegliata dai militari. La sentinella saluta. L’aiutante aspetta nell’anticamera. È un maggiore, giovane, slanciato, gentile, preparato, in grado di parlare del tempo, del paesaggio albanese e dei pericoli della malaria: un aiutante.
Nella stanza del Presidente c’è un altro uomo, più anziano, il Ministro degli Esteri, saggio e corpulento. È sia interprete che sorvegliante e provvede a tutto. Il Presidente indossa l’uniforme da generale. Secondo un’etichetta che lega i capi di Stato alla scrivania, Ahmet Zogu si discosta dal tavolo soltanto di un passo e mezzo. Saluto. Mi perdo in una poltrona. Il Presidente dice in albanese al Ministro che è un piacere accogliere un grande giornale tedesco in Albania; è indubbia la simpatia del piccolo popolo albanese per quello grande tedesco.
Il Ministro ripete in francese. Il Presidente mi dà il permesso di viaggiare per l’Albania in completa libertà e con il sostegno di tutte le autorità. Il Ministro lo ripete. Inchino. Inchino. Inchino. Poi Ahmet Zogu inizia a parlare in tedesco. (Ha prestato servizio presso gli austriaci). Se sono già da tempo in Albania. Quanto penso di restare. Quando e dove vorrei andare. Si augura dagli inviati nient’altro che la verità. La verità – replico io – è una cosa relativa, ciò che è vero per qualcuno, è una bugia per qualcun altro. Gli inviati tedeschi sono comunque animati dall’impulso alla verità. Oltre a ciò, non ho alcuna domanda da fare- perché potrei rispondermi a tutto da solo. Le interviste sono facili espedienti per evitare imbarazzo ai giornalisti. Resurrezione dalla poltrona. Sorrisi sui tre volti. Inchino. Inchino. Inchino. Aiutante. Sentinella. Saluti.
Per quel che riguarda dunque la cerimonia dell’udienza, quella albanese non si differenzia poi molto, per tradizioni, costumi e deferenza, dalle cerimonie degli altri paesi. Ahmet Zogu è più giovane degli altri presidenti delle repubbliche europee; ha poco più di trent’anni. Ha un passato più intensamente movimentato e ricco degli europei della sua età. Ha avversari morti sulla coscienza e avversari vivi nel Paese. Quest’ultima è una qualità di tutti gli uomini di Stato del mondo, la prima invece – più avversari morti che coscienza – una specialità orientale. Ahmet Zogu ha un aspetto inoffensivo, è alto, rappresenta in maniera convenzionale le circostanze, ed è sorprendentemente biondo. I suoi capelli chiari si smarriscono su quel volto orientale.
Il suo contegno, che il dovere di concedere udienza prescrive, è più effetto di prudenza che innata sicurezza. La parsimonia delle parole, il modo in cui le scandisce, la vuota cortesia delle domande sono manifestazioni di doveri di rappresentanza non troppo spesso esercitati e perciò tanto più penosi. Si sente – senza motivo – obbligato a una sorta di banalità da principe ereditario.
Si dice che le sue capacità militari siano assai scarse. Durante la prima guerra mondiale non ha, come l’attuale leggenda afferma, conquistato Durazzo a capo delle truppe albanesi. In questo Paese, dove un contadino su dieci è un genio militare e un altro su dieci è un genio della tecnica dello sparare, è assai difficile eccellere per talento militare. Si dice che sia uno spietato dittatore. Ma in Albania, dove ogni capobanda vorrebbe essere lui stesso un dittatore, ogni proprietario terriero suo vassallo e chiunque sia in grado di leggere e scrivere vorrebbe essere suo segretario, probabilmente non è possibile nient’altro che una dittatura spietata. Ahmet stesso sembra essere meno dittatoriale della sua cerchia, che è più esperta, più astuta, più spietata di lui e ha, per la maggior parte, un addestramento turco pluriennale alle spalle.
Di tutte le qualità che più che insignire un dittatore lo caratterizzano, il Presidente della Repubblica albanese sembra conoscere soltanto la paura del suo paese – certamente a buon motivo, in un paese in cui non è necessario essere un dittatore per trovarsi all’occorrenza fucilato. Ahmet, del resto, ha goduto di un’ospitalità degli jugoslavi riccamente retribuita, ha ‘conquistato’ l’Albania con l’aiuto delle bande jugoslave, e ha in seguito concluso il noto patto con l’Italia.
Ma se da più di ottocento anni la maggior parte degli uomini influenti nel mondo dei Balcani non rifiuta denaro, soprattutto se questo viene pagato da due parti avverse – perché mai proprio Ahmet dovrebbe costituire un’eccezione? L’amicizia disinteressata della Jugoslavia per l’Albania, d’altra parte, non è ancora stata dimostrata. Ma se anche io dubitassi (a buon diritto) del patriottismo totalmente disinteressato di Ahmet, l’ambizione forse egoistica del Presidente corrisponde in molti punti ai bisogni reali del Paese, che davanti alla scelta di mettersi sotto la protezione di un vicino più evoluto oppure di uno più insicuro che lotta con le sue difficoltà interne, sceglie il primo. Si rimprovera inoltre al Presidente che la sua immagine addobbi tutti muri, i francobolli e le monete. Ma anche nei Paesi più evoluti la fotografia riprodotta e stampata rappresenta il modo migliore di imprimersi nella memoria per lo più infedele dei cittadini.
In effetti impossibile giudicare con la morale democratica degli occidentali le condizioni di uno Stato orientale la cui storia è costituita dalla repressione, i cui costumi si chiamano corruzione, la cui cultura è una mescolanza di romantica ingenuità bucolica autoctona e intrighi imposti dall’esterno. Allo stesso modo, se si venisse all’improvviso trapiantati nel Medioevo, non ci si potrebbe indignare per il rogo delle streghe. Bisogna sforzarsi di osservare Ahmet con gli occhi liberi dal pregiudizio e interpretarlo al di fuori del suo ambiente.
Si deve sapere intanto che è il discendente di una famiglia di prìncipi albanesi regnante già nel diciassettesimo secolo, e anche prima – probabilmente con metodi nient’affatto democratici. Si deve poi sapere che un Parlamento in Albania non potrebbe essere diverso da quello che. Resterà ancora per vent’anni un ‘parlamento di facciata’. È lasciato in balia dell’autorità delle cricche e della volontà del capo di Stato, così come, per fare un esempio, la Scupstina [il Parlamento serbo] jugoslava, ed è altrettanto importante quanto il Parlamento di Budapest e soprattutto di Angora.
Si deve sapere ancora che gli avversari e nemici Di Ahmet Zogu, e ne conosco alcuni, non hanno affatto una morale più occidentale del Presidente. Dei novecentoventi europei occidentale con un’istruzione che hanno lasciato il Paese da quando è al potere Ahmet Zogu, dei sette politici che dal 1925 sono fuggiti in Jugoslavia, dei dodici che dal 1922 hanno perso la vita, presumo che non ce ne fosse neppure uno che volesse applicare un metodo di governo diverso da quello di Ahmet Zogu – e non biasimateli per questo.
Poiché nella politica albanese, e in quella orientale in genere, la legittima difesa è un concetto molto più esteso, e gioca quasi lo stesso ruolo dell’interesse di Stato per gli europei occidentali. Si deve prima di tutto dare inizio a una lenta e faticosa educazione per trasformare pastori, capi tribù, capibanda e fanatici religiosi in cittadini. Se Ahmet Zogu sia competente e in grado di assumersi questo compito, è però cosa assai dubbia. Attualmente persino il suo legame con l’Italia lo preoccupa. Oggi da solo non è più in grado di mettere Italia e Jugoslavia l’una contro l’altra. Oggi confida ardentemente in un rinnovato tentativo della Jugoslavia di avvicinarsi a lui.
Ma la Jugoslavia predispone accanita l’esercito e nuove cospirazioni. L’Italia difende i propri interessi, più che la vita di Zogu. E così questo giovane, che ha già dovuto reprimere tre insurrezioni, se ne sta in un’uniforme da generale di ottimo taglio, con un immenso apanage, in una casa principesca per le condizioni albanesi, borghese per le nostre, protetto da una guardia del corpo la cui fedeltà è relativa come tutto in questo Paese, consigliato da politici che hanno affinato la loro astuzia nel servizio militare turco e smussato il loro carattere nello stesso servizio militare turco – questo giovane – che potrebbe condurre a Parigi una serena vita da studente – siede là, tremante e rigido, in attesa di una quarta insurrezione. Non lo si rimprovera per i decessi che si presume abbia provocato, bensì soprattutto per le somme che avrebbe percepito. Perché, se anche non le avesse riscosse lui personalmente, le avrebbero ricevute altri che meritano ancora di meno: il piccolo ma ben pasciuto ceto elevato delle sanguisughe alfabetizzate, gli scrivani turchi, i corrotti mediatori della corruzione.
Ahmet Zogu domani potrebbe ancora essere Presidente, dopodomani non esserlo già più, e al suo posto potrebbe sedere qualcun altro che si differenzia assai poco da lui. Joseph Roth, Frankfurter Zeitung, 29.5.1927, in Idem,
Viaggio in Albania
Bagno a Ripoli (FI), Passigli, 2014

Invito al viaggio. In Albania
Roma TrE-Press, 2020
