Illusione del ver?… / Altri ce l’hanno; / ma con mio danno, / perché so cos’è!
In questa sconvolgente nota scritta a mano, l’artista Renzo Collura sembra averci lasciato un codice di interpretazione. E tutto questo si riflette perfettamente nella struttura del libro di Stefan Çapaliku.

‘Renzo Collura – un artista disperso in Albania’ è il secondo libro di una serie di monografie che rispettano un modello multiforme, dopo ‘Imago & Verbum’ (‘Zeta’ Tirana 2020). Rappresentano, da un lato, “l’oggettività” dell’immagine, della fotografia, della pittura, con la possibilità, il dubbio, l’asserzione, il diniego, l’opposizione, l’accettazione con riserva, che permette la lingua scritta, invece. Non a caso la nota sopra citata viene presentata fotografata dallo stesso Capaliku, come modello di simbiosi tra foto e testo.
Questo nuovo approccio dell’autore sembra essere ispirato da quella che viene chiamata ‘la nuova alfabetizzazione visiva’. Il linguaggio scritto cede il passo, non ha più quella posizione di dominio assoluto, per dare più peso al visivo e quindi per facilitare la lettura, la percezione. E se prendiamo in considerazione ciò che ha detto Barthes[1] sull’ immagine fotografica e il suo status speciale come ‘un messaggio senza codice’, aggiungendo poi altri messaggi senza codice, come disegni, dipinti, presenti nei due libri di Çapaliku, la contiguità con il testo scritto crea un paesaggio semantico unificato in diversità, per cui interpretato con un codice comune.
Il modo di procedere di Çapaliku è in linea con una scrittura metastorica, elenca i fatti, le date, le situazioni in una forma verticale, ma poi riversa in essi attraverso una narrazione orizzontale, temporale, quello che Renzo ha perso e l’autore pensa che dovrebbe essere portato alla luce per il pubblico italiano e albanese.
Renzo Collura è infatti l’Ulisse artista che non riuscì mai a lasciare completamente le due sponde, quella italiana e quella albanese, siccome le ha vissute tutte e due con l’illusione dell’arte e la forza della vita.
Il libro, come testo scritto, è una narrazione in terza persona sull’eroe, l’artista, ma ti da l’impressione di essere scritto in prima persona. Ci sembra che sia l’artista stesso a confessare le sue vicissitudini. Viene disegnato un parallelo con il mito di Ulisse e sembra che siano tutti elementi di base. ‘Così, prima della fine della guerra italo-greca, all’inizio del 1941, mentre sta per completare il secondo anno di studi superiori, Renzo Collura parte per la guerra. Lascia Penelope – Lina e il suo Telemaco – Athos, e sale a bordo delle navi da guerra italiane, alla volta dell’Albania. Sebbene la guerra fosse tra Italia e Grecia, il campo di battaglia fu l’Albania meridionale. E così per ben sette anni, l’Albania diventò per Renzo, ciò che Troia fu per l’Ulisse’.[2]
Comunque, Stefan Çapaliku richiama indirettamente la nostra attenzione su una differenza importante. Il nostro Ulisse, Renzo, non ha vinto la guerra quando ha lasciato il campo di battaglia e forse questo fatto rallenterà il suo ritorno alla sua Itaca. Deve superare l’illusione di questa realtà, quando scopre che la sua verità, la sua sfida non è stata quella guerra. E il suo stesso modo di vestirsi rappresenta sia la guerra sia la pace. ‘Un ragazzo vestito per metà da militare e per metà da civile, con una maglietta sbiadita’ [3]
In realtà, il testo sembra essere un secondo ritorno dell’artista a casa. E per riportare Renzo, l’autore doveva essere convinto che l’artista non era ancora arrivato. Per questo motivo, Çapaliku non ha svolto solo ricerche di natura bibliografica e di studio. Ha capito che doveva recarsi a Milano e incontrare le persone che hanno vissuto con l’artista. Ero presente in uno dei suoi incontri con Athos Collura, il figlio dell’artista, Telemaco, che l’ha vissuto in prima persona questo parziale ritorno di suo padre. Le parole di Athos, anche lui artista, sono riportate integralmente nel testo di Çapaliku: Per natura, riservato e schivo, mio padre non amava parlare del suo passato né da militare né come studente all’Accademia di Belle Arti a Torino né della sua vita trascorsa in Grecia o in Albania. È come se avesse vissuto delle “Vite Parallele” alla Plutarco. Vuole proteggere e preservare la propria preziosa e fragile esistenza e creatività.[4]
L’ “Odissea” di Stefan Çapaliku è un procedimento di natura postmoderna, poiché prende il mito per decostruirlo deliberatamente. Dà l’impressione che il nostro Ulisse, artista Renzo Collura, avendo scoperto di essere fuori dal suo habitat, la guerra, si sia reso conto che non può essere il soldato, il guerriero crudele che deve uccidere, per cui tira fuori il pennello e va a vivere proprio come artista in due delle città più rappresentative dell’Albania di quegli anni, Shkodra e Durazzo.
Ma su quale sponda è approdato Renzo Collura, da dove è partito questa volta? La storia che leggiamo nel libro di Çapaliku, tra l’altro un testo bilingue: italiano e albanese, descrivendo le vicende del ritorno di Renzo nella sua Itaca, lo riporta ancora una volta l’artista in Albania, attraverso la descrizione di una magia e una seduzione orientale, presente nella creatività del periodo italiano dell’artista, dal fatto che ‘nei suoi quadri emerge una lirica malinconica, di desolante solitudine, una sinfonia ossessionante di un suo fascino segreto’.[5]
Nel paese in cui è nato, a Grotte, in Sicilia, è in costruzione di recente un museo con il suo nome, ma nel frattempo il pubblico italiano e albanese, può godere di questo contributo proveniente dall’Albania, da uno scrittore originario di Scutari, dove Renzo Collura trovò il primo rifugio e fu accolto come uomo e come artista.
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[1] Barthes, R. Image-Music-Text. London 1977
[2] Renzo Collura un artista disperse in Albania p. 10
[3] Ivi, p.15
[4] Ivi, p. 29
[5] Ivi, p. 30