“L’ultimo avvenimento rumoroso a pungere il cuore invecchiato della città, da tanto tempo esausto, era stato uno sparo: un proiettile impaurito, uscito dal primo fucile – il fucile era stato appena inventato – serpeggiò in aria come un pensiero raggelato e fece inaspettatamente un terzo occhio a uno dei nostri ubriaconi apolitici, uscito a vedere come se ne andavano, trascinandosi stancamente, i nemici. Erano venuti avvolti in un’orgia di colori e metalli rilucenti, con dei cannoni giganteschi, che avevano mandato all’aria le case sul limitar del lago; c’erano stati per quasi mezzo millennio, in città; avevano portato con sé i loro cibi inebrianti, i loro canti, le loro puttane, finché non avevano seminato un po’ di tutte queste cose anche nelle nostre anime, avide di comunicare con qualunque cosa venisse da fuori. Più tardi, quelle difficoltà profondamente umane – e che, nella maggioranza dei casi, è bene condividere proprio con coloro con cui niente hai in comune – resero possibile che non si distinguesse più chi era del posto e chi “l’antico nostro fratello venuto di lontano”.
L’opinione
L’anno in cui fu inventato il cigno di Ardian-Christian Kyçyku , Besa Muci Editore 2021, pubblicato nella traduzione del compianto Giuseppe Stabile, è ambientato a Ocrida, (si pensa possa essere Pogradec, città natale dello scrittore), e si apre con l’omicidio misterioso di un uomo, avvenuto in Albania, durante la dominazione turca. La città, le sue peculiarità e in particolare i corsi d’acqua costituiscono il fulcro del racconto.
La fascia di ambientazione temporale varia nel corso della narrazione: uno studente, dopo una notte passionale, si tuffa nel lago per rinfrescarsi, senza sapere che la polizia che lo pattuglia, in seguito a un illegittimo sconfinamento da parte di ignoti, arresta chiunque passi da quel posto. Così, il giovane si ritrova chiuso in una cella buia, con le pesanti accuse di tradimento e di tentativo di espatrio.
La descrizione della prigionia è evocativa: la cella rappresenta la metafora sia della località, che dell’Albania durante il regime dittatoriale, un Paese martoriato e fonte di grande oppressione. Il carcerato assume la piena consapevolezza della situazione, di quella che è la reale condizione della sua terra, grazie, anche, alla “sfasatura temporale” che vive. Ed è proprio in questa condizione che si affaccia la necessità e l’urgenza di riscatto, che emerge la voglia della reinvenzione del mondo e della stessa nazione. Il cigno diventa il simbolo della sfida all’insensatezza della Storia e al degrado dell’essere umano.
L’anno in cui fu inventato il cigno (Anul în care s-a inventat lebăda, 1997) è il primo romanzo redatto in rumeno da Kyçyku, penna di espressione albanese e rumena, autore poliedrico di oltre 50 opere originali (romanzi, prose brevi, drammi, sceneggiature, traduzioni e saggi). Pluripremiato in Albania, Kyçyku è un profondo conoscitore dei Balcani (co-fondatore dell’Istituto di Studi balcanici “Hæmus” e dell’omonima rivista, di cui è anche direttore e redattore). La sua prosa visionaria, che può essere accostata a quella di Kafka, Kadarè, Buzzati o Murakami, attinge a un immaginario più balcanico che albanese, aspirando palesemente all’universalità.
Kyçyku, che da anni vive a Bucarest, consegna al lettore un romanzo forte, che offre svariati spunti di riflessione sulla situazione dell’Albania del passato e del presente e soprattutto sull’urgenza di redenzione. La sua scrittura è armonica e offre un buon equilibrio tra le parole e i concetti espressi. Kyçyku narra senza paura di ferire e al contempo, in maniera mai giudicante. Si lascia al lettore la possibilità di chiudere il cerchio del racconto e di dare una libera interpretazione dei fatti, poiché, come egli stesso afferma, “la letteratura è libertà”.