Prima ancora che cominciassi a scrivere questo libro, mi girava per la testa il titolo Alla ricerca del tempo perduto. Un paradosso, in qualche modo! Dico questo perché non ho mai letto Proust. Nel corso degli anni, ho provato diverse volte a leggerlo, ma non ci sono mai riuscito. La mia conoscenza della lingua francese non è mai arrivata al punto di consentirmi di leggere e di assaporare Proust.
In francese ho letto, e assaporato, altri autori, francesi e non, grandi, meno grandi o del tutto ordinari, ma Proust è stato per me quello che si dice un “osso duro”, tanto duro che alla fine ci ho rinunciato. Per la stessa ragione, ho rinunciato a leggere altri autori, Joyce per esempio, sempre in francese, intendo dire. Ricordo che, più tardi, sia di Proust che di Joyce, sono stati pubblicati dei libri in albanese, ma ormai il desiderio di leggerli mi era passato, forse perché per me era troppo tardi per fare la loro conoscenza. A ogni modo, il titolo Alla ricerca del tempo perduto, ancorché staccato dall’universo proustiano, si era inculcato nella mia coscienza in modo indelebile e vi aveva covato silente per decenni, tanto che a un certo punto, mi sembrò, nella parte di vita che mi restava, non potevo fare altro che andare “alla ricerca del tempo perduto”. Questa è anche la ragione di questo libro, la ricerca del mio tempo perduto, nella vita e in letteratura.

L’opinione
Illusioni nel cassetto di Fatos Kongoli pubblicato nel 2017, per l’ottima traduzione di Caterina Zuccaro, ha un sottotitolo molto significativo che recita così: Quasi un romanzo su me stesso. Il volume, infatti, rappresenta una sorta di libro-confessione dell’autore, di descrizione del suo processo di formazione letteraria, di autobiografia, riproducendo attentamente la generazione intellettuale che ha vissuto ed è sopravvissuta al regime dittatoriale di Enver Hoxa.
Kongoli trascina il lettore nel turpe periodo comunista e delinea in maniera lucida e obiettiva le modalità con cui il regime agiva, con lo scopo di privare l’uomo dei suoi più elementari diritti, fino a togliergli la dignità. Terrore era la parola d’ordine, il sospetto costituiva il filo conduttore della quotidianità. Nella sfera intellettuale la situazione era alienante: chiunque producesse scritti non giudicati pro-regime, diventava nemico dello stato, condannato al carcere duro e nel peggiore dei casi alla pena capitale.
Illusioni nel cassetto è la ricerca del tempo perduto: anni persi per quei componimenti finiti nel cassetto perché non adatti al momento storico albanese e che avrebbero potuto essere causa di condanna per l’autore stesso. Il tempo perduto è di quegli scrittori che si sono adeguati, diventando uno strumento del Potere; è di quegli uomini colti, che servivano il regime, fino alla morte o fino a quando non servivano più.
Uomini di cultura, come suo padre Baki, del quale Kongoli fa un ritratto impietoso, che ha gestito suo figlio, cercando di plasmarlo, introducendolo agli studi che non aggradavano al giovane e in un mondo editoriale che gli stava stretto. Un uomo di grandissima cultura, stritolato dal sistema dittatoriale al fine di non perdere quelli che egli credeva diritti, ma che altro non erano che ulteriori costrizioni.
Con una scrittura evocativa, che rasenta la vivacità, tanto quanto la linearità, creando quell’amabile via di mezzo attraversata piacevolmente dal lettore, Kongoli descrive se stesso e il proprio percorso di crescita che ha conosciuto svariate curve. Narra del rapporto tra l’uomo e lo scrittore che qualche volta si è fatto pericoloso, perdendo quell’equilibrio costantemente rielaborato e conquistato. Racconta della sua esperienza come redattore presso la casa editrice (l’unica esistente) Naim Frashëri, disegna la sua evoluzione intellettuale arrivata con la caduta del regime e proseguita durante i disordini che coinvolsero l’intera Albania.
L’autore confessa candidamente di aver conosciuto e letto alcuni dei maggiori autori della letteratura mondiale solo in tarda età a causa della chiusura a cui l’Albania è stata sottoposta per quasi cinquant’anni. Ed è attraverso l’analisi dei progressi personali che Kongoli esamina la spietatezza del regime totalitario, considerato tra i più crudeli di tutti i Balcani.
Illusioni nel cassetto è una buona lettura, che offre importanti spunti di riflessione, permettendo di conoscere uno dei più grandi autori dell’attuale panorama letterario albanese e di leggere una scrupolosa e obiettiva descrizione degli ingranaggi dittatoriali, che hanno manovrato un intero Paese, nel corpo, nella mente e nello spirito.