Alberto Basciani dal 2006 lavora all’Università Roma Tre, dove è professore ordinario di storia dell’Europa orientale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e nello stesso Ateneo dirige il CRIERE, ovvero il Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Europa Orientale la Russia e l’Eurasia. Si occupa prevalentemente di storia politica e di modernizzazione dei paesi balcanici negli anni tra le due guerre mondiali, comunismo romeno e imperialismo fascista nei Balcani. Ci ha concesso una generosa intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo libro L’impero nei Balcani. L’occupazione italiana dell’Albania 1939-1943. Buona lettura.

Professore, nel suo ultimo libro L’impero nei Balcani. L’occupazione italiana dell’Albania 1939-1943 fa un’attenta analisi di quel determinante stralcio di Storia. Quali furono le reali dinamiche che scatenarono questa urgenza di invasione dell’Albania da parte dell’Italia? Sono da ricercare solo in quel periodo storico o hanno origini ben più antiche?
In realtà nelle dinamiche politiche e diplomatiche che portarono all’aggressione contro l’Albania non parlerei tanto di urgenza quanto piuttosto di scelta del momento più opportuno. Con la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’Impero, dopo aver giocato un ruolo determinante nella vittoria del generale Franco contro la legittima repubblica spagnola, con la sempre più decisa virata verso l’alleanza con la Germania, la conquista dell’Albania rappresentò nella visione imperialista fascista un tassello fondamentale nella costruzione della sua politica di potenza euro-mediterranea. Quell’aggressione è stata presentata troppo spesso come un’avventura militare dettata dalla necessità di cercare di riequilibrare nei Balcani la preponderante forza nazista magari con l’aggiunta di una nota di colore data dall’attivismo del Conte Ciano desideroso di costruirsi oltre Adriatico una sorta di esotico feudo personale, in realtà gli eventi dell’aprile del 1939 segnarono il culmine di decenni di politica albanese e balcanica prima dell’Italia liberale e poi dell’Italia fascista. Nella particolare congiuntura creatasi nel 1939 la mossa del regime mussoliniano – preparata già da tempo – metteva l’Italia in una posizione particolarmente favorevole nei confronti della Jugoslavia e della Grecia e trasformava l’Italia in una vera e propria potenza balcanica. In questo modo venivano gettate le premesse per un ulteriore allargamento della propria sfera d’influenza sia verso il Sud-est dell’Europa che verso il Mediterraneo orientale, prova ne sia l’enorme allarme che la conquista dell’Albania provocò non solo in tutte le capitali balcaniche ma anche in Medio Oriente a cominciare dall’Egitto.
Anche nel caso dell’Albania, il fascismo presentò al mondo una realtà edulcorata. Qual era la situazione reale?
La macchina della propaganda fascista si mise all’opera con grande energia per presentare in Italia e al mondo l’attacco militare come una necessaria operazione di polizia internazionale necessaria per togliere di mezzo il malgoverno corrotto di re Zog e della sua cricca, peraltro abbondantemente foraggiato dall’Italia negli anni precedenti. Nei mesi seguenti l’Albania fu presentata all’opinione pubblica italiana come una sorta di straordinario e ricchissimo scrigno selvaggio che l’accortezza e la mano sicura del duce avrebbe trasformato in una specie di Svizzera balcanica. Furono magnificate le presunte ricchezze del sottosuolo, il popolo albanese fu presentato come puro e ariano che aspettava solo il fascismo per riscattarsi in pieno dalla povertà e dal sottosviluppo. In effetti l’Albania formalmente non fu annessa all’Italia e teoricamente mantenne la sua indipendenza, con un artificio giuridico fu sancita l’unione delle due Corone e il regno d’Albania fu provvisto di una nuova costituzione (scritta da giuristi italiani) e di un proprio governo. Tuttavia il Paese era dominato dall’Italia per mezzo del Luogotenente del Re che operava da Tirana e del Sottosegretariato per gli Affari Albanesi istituito a Roma presso il MAE. Va aggiunto che i direttori generali dei diversi dicasteri erano tutti italiani, le forze armate albanesi furono fuse in quelle italiane mentre l’ordine pubblico era assicurato dai carabinieri reali. Insomma la realtà contrastava con le apparenze e i fatti ci dicono l’Albania fu dominata dall’Italia pronta a farne una sorta di testa di ponte per ulteriori balzi in avanti nel Sud-est dell’Europa.
Quattro anni di dominazione: quali furono le conseguenze per l’Albania e quanto assorbì il Paese di questo forzato controllo italiano?
Il primo, immediato cambiamento riguardò il tessuto urbano in particolare quello di Tirana che fu trasformata dagli urbanisti e dagli architetti italiani. Proprio i grandi interventi sulle città e nella rete infrastrutturale ci fanno capire che l’Italia andò in Albania per restarci. Tirana affidata alle cure di uno dei più importanti architetti italiani del tempo, il fiorentino Gherardo Bosio, perse, almeno in parte, il suo aspetto di borgo polveroso e disordinato per assumere le vesti di una moderna città che incarnava l’ideale di modernità e progresso del fascismo. Si trattava di un messaggio potente che non si limitava alla sola Albania ma doveva raggiungere l’intero Sud-est dell’Europa. E’ interessante come, dopo il 1945, la nomenclatura comunista si sia appropriata di quell’eredità architettonica. Un altro settore dove la pressione italiana fu fortissima riguardò il campo della cultura e dell’educazione. Sin dagli esordi della dominazione il regime cercò con molti sforzi di italianizzare i due settori, il tentativo era quello di subordinare la lingua e la cultura albanesi a quella italiana e, al tempo stesso, di forgiare una gioventù albanese legata al fascismo ma soprattutto in qualche modo gregaria degli italiani. Paradossalmente il lascito più grande e importante dei quattro anni di presenza italiana in terra albanese fu la definitiva nascita (o almeno consolidamento) della nazione albanese. Un Paese prima di allora diviso in clan, dominato dai bey con una difficile identità nazionale a causa del lascito imperiale ottomano, della divisione della popolazione tra tre religioni trovò nell’opposizione agli italiani il denominatore comune per farsi finalmente nazione. È indicativo, a mio parere, che proprio gli studenti, gli insegnati, professori insomma il mondo dei cosiddetti intellettuali che forse più di qualsiasi altra categoria aveva da guadagnare in termini di ascensione sociale e personale, nell’accettare il dominio italiano, fu quello che diede davvero inizio a un’opposizione sempre più dura e intransigente nei confronti dei piani di graduale integrazione del Paese nell’alveo dell’impero fascista. Fallì così miseramente anche il progetto di usare il Partito Fascista Albanese quale elemento di unione delle classi dirigenti locali con i dominatori italiani.
Come la Storia ci insegna, l’invasione fascista si concluse malamente. Qual è la vicenda che segnò l’inizio del declino del potere italiano in Albania?
L’inizio della fine si ebbe con l’avventura militare in Grecia. Lo scacco umiliante subito dalle forze armate italiane sul fronte greco-albanese mostrò la debolezza italiana e quanto fossero velleitari i sogni di dominio fascisti sia sull’Albania che, più in generale, sul resto dei Balcani. A partire dall’autunno inverno del 1940 l’Italia diventa l’alleato debole del Terzo Reich e il sogno di una guerra parallela si infrange definitivamente. Neppure la conquista del Kosovo e del Dibrano con la creazione della Grande Albania riesce a cambiare la situazione. Anzi con l’allargamento del territorio la debolezza italiana si manifesta in maniera sempre più evidente nell’incapacità, per esempio, di rifornire in maniera regolare i grandi e piccoli centri dove borsa nera e inflazione dominavano i marcati. Dunque la fine definitiva della presenza militare e civile italiana oltre Adriatico divenne solo questione di tempo.
Quanto di quel periodo ha influito sull’evoluzione storico-sociale dell’Albania a cui abbiamo assistito negli anni precedenti?
Non c’è dubbio che la conquista italiana cambia per sempre i destini dell’Albania i cui destini si incrociano con quelli delle altre grandi e piccole potenze coinvolte nello scacchiere balcanico. La lotta antitaliana fu l’occasione per la nascita del Partito comunista albanese e, credo, che lo shock per la perdita dell’Indipendenza fu introiettato in profondità nel DNA stesso delle nuove classi dirigenti albanesi. Da qui la necessità, dopo la guerra di allontanare la soffocante protezione jugoslava prima e sovietica poi al di là delle vere o presunte divergenze ideologiche.
Forse inconsapevolmente ma i comunisti albanesi furono i primi a forgiare una sorta di nazional-comunismo che poi avrebbe conosciuto molti sviluppi in tutti i regimi socialisti della regione.
Professore, mi permetto di ampliare il discorso: lei si occupa prevalentemente di storia politica e di modernizzazione dei paesi balcanici negli anni tra le due guerre mondiali. Partendo da quest’ottica, quanto pensa possa influire sull’evoluzione socio-politica dei Balcani, il conflitto che coinvolge l’Ucraina e la Russia?
Molto. La guerra di aggressione russa contro l’Ucraina è una lezione importante per tutti gli stati dell’Europa orientale, dimostra che determinate acquisizioni: democrazia, mercato, libertà di movimento, ecc. non possono mai dirsi del tutto scontate ma vanno preservate attraverso un continuo consolidamento delle strutture interne e dei rapporti internazionali. Per molti inoltre questa guerra confermerà consolidati pregiudizi antirussi.
Sempre in riferimento all’evoluzione storica albanese, cosa ne pensa della possibilità di entrare a far parte dell’UE?
Il destino dell’Albania è, a mio parere, un destino europeo. Tuttavia, la strada da percorrere è ancora molto lunga. In questi ultimi 12/15 anni il paese è cambiato tanto ma non ancora in maniera decisiva. Al di là della propaganda e del sapiente marketing resta ancora un paese dall’economia debole, dalle istituzioni fragili, politicamente ancora troppo polarizzato, nonostante i progressi lo stato di diritto non si è ancora completamente realizzato. Bisognerebbe fare in modo che le energie migliori, i cervelli più brillanti trovassero nel Paese le giuste opportunità. Tutto ciò mi pare ancora lungi dal verificarsi. L’unica possibilità è il graduale ingresso dell’Albania nelle istituzioni comunitarie. Fuori dall’Albania resterà un posto magnifico dove fare un viaggio, scoprire angoli mediterranei o montani di bellezza straordinari ma poco attraente per viverci.
Due parole su Alberto Basciani e su suoi progetti futuri.
Dal 2006 lavoro all’Università Roma Tre, oggi sono professore ordinario di storia dell’Europa orientale presso il Dipartimento di Scienze Politiche e nello stesso Ateneo dirigo il CRIERE, ovvero il Centro Interdipartimentale di Ricerca sull’Europa Orientale la Russia e l’Eurasia. I Balcani e la loro storia contemporanea restano ancora al centro dei miei interessi scientifici e dei futuri progetti. In particolare vorrei esplorare quella che definisco la modernità tradita, ovvero la nascita, il consolidamento e il totale fallimento dei regimi comunisti nel Sud-est dell’Europa.