Donato Martucci è dottore di ricerca in Teoria e ricerca sociale presso l’Università del Salento. Già assegnista di ricerca, è attualmente docente di Antropologia culturale.
Ha effettuato diversi studi sul campo in Albania e in Kosovo. I suoi interessi sono rivolti allo studio delle consuetudini giuridiche albanesi e un po’ più in generale, alla cultura popolare albanese. Le sue pubblicazioni spaziano tra monografie, saggi editi da riviste scientifiche nazionali e internazionali e inseriti diversi volumi di notevole spessore.
Martucci ha curato sia la riedizione italiana de Il Kanun di Lek Dukagjini. Le basi morali e giuridiche della società albanese (2009), pubblicato da Besa Muci Editore, che la prima edizione italiana del Il Kanun di Skanderbeg (2017), di Grifo (Cavallino) Edizioni.
Ho intervistato lo studioso e scrittore in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Albania serafica di Besa Muci Editore, in libreria dal 17 luglio 2023.
Partiamo dalla Relatione Universale di Padre Giacinto Sicardi, che sembra costituire l’anima di Albania serafica, con la presenza corposa dei frati francescani in Albania; contestualmente ti chiedo il motivo che ti ha spinto a scrivere questo libro.
La Relatione Universale di padre Giacinto Sicardi da Sospello costituisce il punto di partenza e il filo conduttore della mia ricerca. Il testo manoscritto del padre francescano, finito di compilare nel 1652, ricostruisce in ordine cronologico le vicende occorse alle prime missioni erette in Albania dai frati minori osservanti riformati su indicazione della Sacra Congregazione di Propaganda fide.
Le vicende raccontate cominciano dall’erezione delle missioni nel 1634 da parte di padre Bonaventura Relli da Palazzolo Vercellese (di cui riporto un rarissimo ritratto in copertina), e si spingono fino al 1650, quando, a seguito della persecuzione da parte dei turchi, i padri sono costretti a lasciare temporaneamente l’Albania.
La Relatione Universale di padre Giacinto è un po’ una risposta politica, indirizzata ai Cardinali della S. Congregazione di Propaganda fide, per lodare e giustificare l’operato dei padri francescani in Albania e per ribattere alle accuse che venivano loro rivolte dal clero albanese, di essere stati causa delle persecuzioni dei turchi. Il manoscritto riprende altre relazioni di alcuni confratelli di Giacinto e le amalgama, ordinando il materiale, come detto, in ordine cronologico.
Questo documento è conservato presso la Biblioteca Civica “Romolo Spezioli” di Fermo; tuttavia, le ricerche hanno messo in luce come ne fosse conservata un’altra copia o un’altra versione nell’archivio del convento della Madonna degli Angeli di Torino. In questo convento si ritirarono e morirono sia padre Giacinto Sicardi, che padre Bonaventura Relli. La copia conservata a Torino è stata letta da molti importanti studiosi dal XVII secolo fino al XIX, quando se ne perdono le tracce.
La copia conservata a Fermo viene invece scoperta nel 1946 da uno studioso polacco, Tadeusz Lewicki, che ne dà notizia in un articolo un paio di anni dopo. Dopo di che, altri studiosi o appassionati sono andati a Fermo per visionare il documento.
Io devo la conoscenza del manoscritto a un ricercatore albanese che da molti anni vive in Italia, Kastriot Marku, che nell’ottobre del 2020 me ne ha parlato, inviandomi una copia in pdf. Altre vicende occorse successivamente mi hanno spinto a lavorare sulla Relatione Universale in modo intenso e sistematico per più di un anno, scoprendo altri manoscritti inediti collegati a quello di Giacinto e dando anche corso a una specie di caccia al tesoro fra gli archivi in tutta Italia, nella speranza di ritrovare la copia torinese andata perduta, ma al momento non ci sono ancora riuscito.
Il secondo capitolo del libro si intitola Un’opera inedita che ha influenzato la storiografia francescana. In che maniera ha condizionato la storiografia francescana?
Come dicevo in precedenza, la copia del manoscritto conservata a Torino è stata letta da diversi importanti studiosi che l’hanno utilizzata come fonte primaria per i loro trattati monumentali lì dove bisognava parlare dell’opera missionaria dei francescani in Albania.
Stiamo parlando di opere di capitale importanza per la storiografia francescana, come l’Historia serafica (1688) di Pietro Antonio da Venezia o l’edizione da lui curata del Leggendario francescano (1721-22) o ancora l’Orbis Seraphicus di Antonio Maria De Turre.
Tutte utilizzano e citano ampiamente il manoscritto di padre Giacinto. Queste opere vengono a loro volta citate come fonte dagli studiosi dei secoli successivi, senza però più fare riferimento al manoscritto di padre Giacinto, che cade nell’oblio. Possiamo affermare, quindi, che l’opera del frate di Sospello è la fonte delle fonti maggiormente utilizzate per descrivere le missioni francescane in Albania del XVII secolo.
A un certo punto del testo parli di collegamenti con il Kanun. Qualche esempio?
La Relatione Universale descrive molti istituti di quelle consuetudini giuridiche, per allora tramandate soltanto oralmente, che diversi secoli più tardi un altro francescano, padre Shtjefën Kostantin Gjeçovi, raccoglierà e pubblicherà chiamandole Il Kanun di Lek Dukagjini.
Innanzitutto, viene affermata, in più punti, la responsabilità collettiva dei crimini più gravi, quale l’omicidio: in questi casi, non si cercava il colpevole, ma si riprendeva il proprio sangue versato uccidendo un uomo qualsiasi del villaggio dell’uccisore. La questione delle vendette di sangue, soprattutto tra villaggi, è un argomento spesso trattato, così quelli di Bulgari erano in sangue con quelli di Trossano, oppure quelli di Gruda con i Clementi ecc.; i missionari cercavano di mediare per farli pacificare, o di propria iniziativa o su richiesta delle parti. Anche le pacificazioni sono raccontate con dovizia di particolari.
Molto interessanti sono anche le descrizioni di procedimenti giuridici messi in atto per accusare qualcuno o per scagionarlo, tutte cose che ritroviamo nelle raccolte kanunali del Novecento. Ma non soltanto, molti altri usi e costumi riguardanti il comparatico, il concubinaggio, il matrimonio, il battesimo, l’ospitalità ecc. sono rintracciabili già nel XVII secolo e questo ci aiuta a capire meglio anche le consuetudini messe per iscritto da Gjeçovi e dagli altri dopo di lui.
Parliamo di Donato Martucci, del tuo percorso di studi e soprattutto da dove nasce questa tua passione per l’Albania, per le consuetudini giuridiche albanesi e per la cultura popolare albanese.
Ho cominciato ad interessarmi all’Albania e alle sue consuetudini mentre frequentavo l’università e dovevo scegliere l’argomento della mia tesi di laurea, mi capitò tra le mani una vecchia edizione del Kanun di Lek Dukagjini, lo trovai molto interessante e diventò l’oggetto della mia tesi, era il 2003.
Subito dopo la laurea vinsi un concorso per fare un tirocinio a Tirana, presso l’Istituto italiano di cultura, e mi trasferii per qualche mese in Albania. Tornato in Italia, proposi di approfondire ulteriormente il tema delle consuetudini giuridiche albanesi anche durante un concorso per il dottorato di ricerca e così fu, vinsi il concorso e continuai i miei studi. Adesso, per farla breve, ho dedicato all’Albania e alla cultura albanese tutti i miei studi e le mie ricerche per vent’anni e spero che i risultati possano essere utili ad altri studiosi o a persone semplicemente curiose che vogliono capire meglio alcuni aspetti della storia e della cultura di questo bellissimo paese.