Olimpia Gargano nata a Ravello, sulla Costa d’Amalfi, è ricercatrice in Letteratura Comparata presso il Dipartimento CTEL dell’Université Nice Côte d’Azur (Francia).
La sua ricerca verte sull’immagine dell’Albania nella cultura europea moderna e contemporanea. Fra le sue pubblicazioni più recenti, la traduzione italiana del libro di Mary Edith Durham, High Albania (1909), pubblicato con il titolo Nella Terra del Passato Vivente, Besa Muci Editore, 2016 (del quale, nel 2023, è stata pubblicata una traduzione in francese) e la riedizione annotata di Ugo Ojetti, L’Albania, Ledizioni, 2017.
Au pays des Skipetares . L’Albanie dans l’imaginaire européen des XVIe-XIXe siècles è il suo primo volume pubblicato in Francia. Ho raggiunto Olimpia Gargano telefonicamente per una chiacchierata sul suo lavoro di ricerca e sugli obiettivi conseguiti e da conseguire. Buona lettura.
La sua ricerca verte sull’immagine dell’Albania nella cultura europea moderna e contemporanea: in cosa consiste esattamente?
Io di base sono laureata in lettere classiche, infatti ho insegnato italiano e latino nei licei. Oltre a questo, traduco dall’inglese, dal francese e dal tedesco. In tarda età, quando ero già pienamente inserita nell’attività di docente e di traduttrice, ho scoperto la letteratura comparata e ho capito che sarebbe diventata la mia passione.
Sono nata in Costiera Amalfitana e quando mi sono iscritta all’Università, negli anni Ottanta, non avevo mai sentito parlare di letteratura comparata, che ho scoperto, in seguito, grazie all’Albania: le due cose, effettivamente, sono andate di pari passo.
Tutte le volte che parlo con gli amici, albanesi e non, mi chiedono in maniera ben precisa: “Tu cosa studi dell’Albania?” Quando rispondo che studio l’immagine dell’Albania nella cultura moderna e contemporanea, la loro espressione si veste di interesse e di curiosità, ma anche di sano scetticismo.
Cosa significa “studiare l’immagine dell’Albania”?
Intanto, questa ricerca nasce in un periodo particolare della mia vita, in cui, per motivi contingenti, ho iniziato a interessarmi di Albania e con mia sorpresa, mi sono resa conto che di questo Paese, (parlo di circa quindici anni fa), non sapevo nulla. Certo, di tante realtà del mondo sappiamo poco o niente, ma parliamo di un posto molto vicino a noi e questo, per me, ha costituito una grande sorpresa. Tra l’altro, confrontandomi con mio fratello, che ha dodici anni in più di me, su questa mia nuova passione, è emerso un topos relativo all’Albania.
Quando io andavo a scuola, dell’Albania non si parlava e non compariva quasi sulla cartina geografica. Questo mi incuriosiva e mi chiedevo cosa ci fosse in quel posto.
Per tornare alla sua domanda, la mia formazione classica, in qualche modo, ha dato l’input affinché potessi incuriosirmi ancora di più, quando ho scoperto che l’Albania conserva riti e costumi omerici e pre-omerici così numerosi, da fare invidia alla Grecia stessa. Esistono delle tradizioni antichissime nel Paese delle Aquile e ben radicate, che, ho ragione di credere, non siano state ancora pienamente valorizzate. A dire il vero, sia l’antropologia europea, che quella internazionale, a un certo punto, si sono avvicinate a questi riti europei antichissimi, di cui, però, si parla troppo poco o non si parla affatto.
Nel momento in cui ho cominciato a interessarmi alla cultura albanese, ho pensato che potesse essere importante iniziare proprio dalla lingua. Sono traduttrice di professione e mi incuriosiva un idioma così particolare, del quale non sapevo assolutamente nulla. Chiaramente, il primo motivo che più mi spingeva a cercare di orientarmi nella lingua albanese, era quello di conferire serietà alla ricerca scientifica: è fondamentale avvicinarsi alla lingua del Paese che si va a studiare.
Sin dall’inizio della mia ricerca, si è configurata ai miei occhi un’immagine sorprendente e che ancora oggi mi stupisce: sono rimasta affascinata e lo sono ancora, di quanto l’Albania e le suggestioni legate a essa siano così presenti in Europa. Parlo dell’Europa perché ho dovuto circoscrivere la mia ricerca, ma volendo si potrebbe andare oltre.
Può fare qualche esempio?
La mia ricerca verte sull’immagine dell’Albania nella cultura europea dal XVI al XX secolo. Di recente ho iniziato a estendere l’arco del cronologico anche al contemporaneo, grazie a un invito ricevuto dall’Università di Valona, che mi ha dato l’opportunità di interessarmi ai testi moderni.
Così facendo, ho potuto scoprire l’esistenza di un recentissimo romanzo inglese ambientato in Albania, che nella copertina riproduce, al femminile, il famoso dipinto di Byron in costume albanese, a dimostrazione di quanto intensa e produttiva, ancora oggi, sia la suggestione dell’Albania “byroniana”. Il libro in sé non ha particolari pregi letterari, ma è una testimonianza importante in merito, (appunto), alla diffusione dell‘immagine.
Tornando alla mia ricerca, mi sono resa conto, da subito, di quanto le suggestioni provenienti dall’Albania, dalla sua cultura e dalle sue tradizioni fossero presenti nel patrimonio culturale europeo, sin dai tempi antichi.
Basti pensare alla figura di Scanderbeg e a tutte le sue rielaborazioni in ogni campo artistico possibile, dal teatro, alla musica, alla poesia, alla pittura. Ecco, questo per me è uno degli aspetti più affascinanti della letteratura comparata: poter studiare e analizzare un soggetto a tutto tondo.
Pertanto mi sono concentrata sulla pittura europea ispirata all’Albania, sul teatro europeo, sulla letteratura di viaggio. Quando parliamo di letteratura di viaggio dei secoli scorsi, forse parliamo di tutto, perché essa comprende i trattati etnografici, antropologici e linguistici che sono stati prodotti per secoli.
Riprendendo la figura di Scanderbeg, immediatamente dopo la pubblicazione del famoso Historia de vita Scanderbegi di Marine Barleti (1510) c’è stata una proliferazione di temi legati all’Albania nella cultura europea in particolare; la mia osservazione è circoscritta a quella di lingua francese, tedesca, inglese e italiana, ma gioco forza mi sono trovata a interessarmi anche a quella spagnola.
Per esempio, durante il famoso Siglo de oro, ( il periodo di massimo splendore artistico, politico-militare e letterario della Spagna, convenzionalmente fissato tra il 1492 e il 1681) e durante l’epoca del Barocco spagnolo, c’è stata una fioritura molto generosa di commedie ispirate alla vita di Scanderbeg. Il ciclo delle opere teatrali, che vedevano protagonista l’eroe albanese, era intitolato Comedias Escanderbecas: siamo in pieno Seicento.
Anche in Francia, tra il Seicento e il Settecento, andavano in scena le rappresentazioni della vita di Scanderbeg: nella stessa Italia, alla fine del Settecento, nei teatri di corte, in particolare quelli di Modena, venivano riprodotte performance teatrali ispirate al condottiero. Parlo di uno degli aspetti, che sono alla base, la figura dell’eroe nazionale, che costituisce il ceppo più consistente dei mille rivoli di cui si nutre l’immaginario europeo riguardo all’Albania.
Interessante. Oltre Scanderbeg, ci sono state altre fonti di ispirazione?
Certo. Un altro motivo dominante è quello dei costumi tradizionali e qui si apre un mondo. Ricordiamo che l’Albania è sempre stato un Paese a fortissimo tasso di emigrazione e spesso la cultura albanese si rendeva visibile e si manifestava agli europei, attraverso gli abiti tradizionali. Vi era una caratterizzazione così forte, tanto che gli albanesi venivano riconosciuti come tali grazie ai loro costumi e alle armi meravigliose. Va ricordata l’esistenza di un importante artigianato del cesello.
A tal proposito non posso non fare riferimento a un altro determinante tassello del mosaico: la famosa rappresentazione di Lord Byron in costume albanese e con lo yataghan al suo fianco. La trovo un’immagine iconica della rappresentazione dell’Albania in Europa, che ho voluto vedere di persona quando sono andata a visitare la National Gallery di Londra, aggiungendo un altro “mattoncino” alla mia ricerca. Purtroppo, questi sono i dettagli che spesso sfuggono e dei quali non si parla e che, in realtà, sono i particolari ai quali lo studioso dovrebbe prestare più attenzione.
Sotto la rappresentazione è posta una legenda, una sorta di cartoncino, che descrive l’immagine con la dicitura Quando Byron decise di presentarsi con la sua immagine ufficiale, scelse il costume albanese.
Perché ritiene il ritratto di Byron una figura iconica del legame Europa – Albania?
Qui si va oltre ogni cliché dell’immagine di Byron in abiti albanesi. Attraverso la scelta consapevole di tramandare alla posterità la sua figura in costume d’Albania, egli ha lasciato al Paese un testamento di valore inestimabile, che purtroppo, posso dire senza temere alcuna smentita, non è stato ancora pienamente valorizzato.
Non è un dettaglio da poco che Byron abbia concepito il Childe Harold’s Pilgrimage, (Il pellegrinaggio del giovane Harold), l’opera che lo ha reso famoso, in Albania. In uno dei tanti testi digitalizzati, ai quali in questa nuova era è facile accedere, si legge una nota dell’autore che recita così: Cominciato a Yanina in Albania. Il fatto che Byron abbia iniziato a scrivere il volume che lo ha reso celebre proprio in Albania, costituisce un altro aspetto che ci dice quanto essa sia stata suggestiva e abbia operato suggestione nella cultura europea.
Le va di fare un breve accenno alla letteratura di viaggio della quale parlava precedentemente?
Lord Byron è diventato famoso con il suo libro, i posti da lui visitati sono divenuti luoghi di culto, per cui, immediatamente dopo la sua tragica e romantica morte, è iniziato il periodo dei viaggi di coloro che, nella mia ricerca, mi piace chiamare byronofili: mi riferisco agli uomini e in particolare alle donne, perché esiste una letteratura di viaggio femminile ricchissima in Albania, anche se poco nota.
Le donne hanno iniziato tardi a viaggiare in maniera indipendente; si muovevano spesso con il marito, eppure sia un modo che nell’altro, i territori albanesi (non parlo di quelli di oggi, circoscritti all’attuale spazio geografico, ma mi riferisco alle terre albanesi di un tempo, molto più ampie), sono stati protagonisti dei loro racconti.
Un esempio su tutti, Mary Adelaide Walker, una grande autrice di libri di viaggio, che ha visitato sia l’Albania che la Macedonia. Non era un’antropologa e nonostante questo ha narrato la storia di un processo, al quale ha assistito, a carico di una persona accusata di contravvenire alle regole del Kanun. È stata una delle prime ad argomentare in tal senso. La Walker era una pittrice e ci ha lasciato dei dipinti della zona dei laghi albanesi bellissimi, dei quali non si parla e che non si vedono da nessuna parte. Esiste un giacimento culturale veramente fecondo nato da tutti questi temi.
Lei sta facendo un lavoro straordinario. Quali sono gli obiettivi di questa sua ricerca, oltre che dare rilevanza a tutto quello di cui non si parla circa l’immagine dell’Albania?
Per spiegare gli obiettivi, devo parlare della scintilla ha fatto nascere in me il desiderio di occuparmi di questa tematica. Perché ho scelto proprio di condurre la ricerca sull’immagine dell’Albania e non sulla storia o sulla letteratura albanese?
Dobbiamo tornare indietro di quindici anni: all’epoca abitavo a Ventimiglia. Avevo avuto un piccolo incidente e una persona, in quel frangente, mi ha aiutata. Questo giovane parlava un italiano perfetto, ma con un accento strano, che non riuscivo a decodificare. Si rivolgeva a me in maniera spumeggiante, allegra e a un certo punto, presa dalla curiosità, gli ho chiesto di dove fosse, perché ero certa che non fosse italiano.
Dopo la mia domanda lui si è incupito, ha perso la sua vivacità e mi ha detto di essere albanese. Ha cambiato radicalmente tono e questo mi ha colpito molto. Capii subito perché avesse cambiato umore: per via dell’immagine che si attribuiva agli albanesi di quell’epoca. Così ha iniziato a parlarmi della sua infanzia, di quello che ha vissuto durante la dittatura e di quando è arrivato in Italia a bordo di un gommone.
Ricordiamo tutti l’immagine degli albanesi costruita dall’ondata migratoria, dove, come sempre, arrivando persone disperate, accade di tutto. Lo abbiamo subito anche noi italiani, nel passato, ma dimentichiamo in fretta.
Mi sono detta: questo è lo stereotipo dell’albanese, ma cosa sappiamo realmente dell’Albania? Niente! L’ho detto per me, ma potevo affermarlo tranquillamente per molti connazionali. Nei giorni scorsi è stata pubblicata una mia intervista in Albania, in cui emerge un paradosso: tutti hanno avuto la presunzione di scoprire questo Paese per la prima volta e forse questo accade ancora oggi. Tutti i viaggiatori che vi hanno approdato, hanno pensato di essere sempre i primi ad arrivare in questo luogo misterioso, che per secoli è stato cartografato e di cui si è scritto in ogni dettaglio. Tutti hanno pensato di recarsi come conquistatori ed esploratori.
Quindi ha voluto sdoganare l’immagine dell’Albania? O riabilitarla?
Innanzitutto ho voluto capire qualcosa in più di questo posto di cui non sapevo nulla e di cui si conoscevano solo gli stereotipi, che ricordiamo sono proprio generati dalla mancanza di conoscenza. Per inquadrare nella propria mente qualcosa che non si conosce, la via più semplice è quella di affidarsi alle etichette che girano sui giornali. Non sapevamo nulla, in realtà, circa il ruolo avuto dall’Albania in Europa, tramite i suoi usi e i suoi costumi.
Da questa domanda è nata la mia ricerca. Circolava, all’epoca, il preconcetto dell’Albania come Paese misterioso, che cresceva, di pari passo, con quello di nazione pericolosa. A tal proposito mi sono avvicinata all’autrice viaggiatrice inglese, Mary Edith Durham, che nel 1901, quando aveva poco più che trent’anni, si recò in Montenegro, che all’epoca era indicato come fossi Montecarlo del momento, era come avere l’esotismo alle porte di casa.
Mary, però, non era una turista nella media, che si accontentava dei luoghi comunemente visitati e decise di proseguire per i fatti suoi, visitando località fuori dai giri di tutti e arrivando, così, in un punto dove si vedevano le montagne azzurre dell’Albania.
Lei, in realtà, non sapeva che fosse l’Albania: così chiese alla sua guida, che le confessò di essere albanese e si raccomandò di non recarsi mai in quel posto, in quanto Paese pericoloso. L’anno dopo Mary partì per quel luogo misterioso e andò in zone che ancora oggi sono tra le più inesplorate e sconosciute, in cui nessun viaggiatore, all’epoca, aveva mai messo piede, tantomeno una donna non accompagnata. Visitò l’Albania a dorso di un asino e su di lei si raccontò tanto: qualcuno la additò come una spia, qualcun altro come una parente dei reali d’Inghilterra.
A me piace dire questo: l’Albania non è formalmente in Europa, ma è europea a pieno titolo, in quanto musa ispiratrice di artisti, poeti, letterati, drammaturghi e di ogni forma d’arte d’Europa, sin dai tempi più antichi.
I suoi prossimi progetti?
Sicuramente la pubblicazione dell’edizione in albanese e in italiano di “Au pays des Skipetares. L’Albanie dans l’imaginaire européen des XVIe – XIXe siècle“, il libro che raccoglie gran parte delle mie ricerche e una nuova traduzione del libro di M. Edith Durham.