Nel 1808, molto prima che Freud elaborasse le sue teorie sull’interpretazione dei sogni, un vescovo di Bristol di nome Robert Gray pubblicò un libro intitolato Theory of Dreams, nel quale proponeva un’analisi simbolica e psicologica dei sogni nella storia e letteratura internazionale.

Per citare un esempio famoso, Gray descrisse il caso della madre di Scanderbeg, che quando era incinta del condottiero albanese sognò un enorme serpente che copriva tutto l’Epiro, con le mascelle spalancate a divorare i possedimenti turchi, mentre la coda copriva l’Europa cristiana.

Il sogno è quello che vediamo illustrato nell’immagine qui sopra, che è uno fra gli innumerevoli esempi di quanto il personaggio di Scanderbeg fosse celebre, e celebrato, nell’Europa dei secoli scorsi. Le rappresentazioni teatrali che lo videro protagonista si moltiplicavano nei teatri popolari e in quelli di corte. Nella Spagna del XVII secolo, la trasposizione del suo nome, vale a dire Jorge Castrioto Escanderbeg, diede vita a un genere teatrale specifico chiamato Comedia Escanderbeca.
A Modena gli furono dedicate due commedie (Alessandro, signor d’Albania, 1737; Scanderbeg principe d’Albania, 1770) che andarono in scena al Teatro Ducale per celebrare il compleanno, rispettivamente, di Rinaldo e Francesco III d’Este.
Molto prima che i viaggiatori stranieri andassero in Albania, l’Albania era dunque già entrata in Europa attraverso uno dei suoi personaggi più famosi. Basti pensare che quello che viene considerato il primo poema epico completo europeo scritto da una donna fu la Scanderbeide (1606) dell’italiana Margherita Sarrocchi. L’autrice, che era una delle donne più colte del suo tempo, lo mandò in visione a Galileo Galilei per avere il suo parere. Dopo di lei, altre scrittrici europee lo fecero diventare protagonista di racconti e romanzi, il più popolare dei quali fu Le Grand Scanderberg (1688)della francese Anne de La Rocheguilhen.
Ma le storie ispirate a Scanderbeg erano solo uno fra i motivi per cui la letteratura e l’arte europea dei secoli scorsi abbondava di temi e soggetti albanesi. Prendiamo ad esempio l’abbigliamento tradizionale, una particolarità per la quale gli albanesi erano famosi in tutto il Mediterraneo. Con i loro splendidi costumi, gli ”Arnauti”, come venivano chiamati nell’impero ottomano, attiravano gli sguardi e l’ammirazione dei viaggiatori stranieri. Per una nazione la cui maggior parte della popolazione risiedeva all’estero, l’abbigliamento tradizionale creava una sorta di comunità virtuale, una nazione fuori patria, accomunata da costumi che diventavano dei segni di riconoscimento tra tutte le altre nazionalità.
Nei secoli scorsi fiorì una serie ricchissima di preziosi dipinti a soggetto albanese presenti nei musei di tutto il mondo, tranne che in Albania. Ne vediamo un esempio nell’illustrazione seguente, un quadro del pittore fiammingo Jean-Baptiste Vanmour dedicato al mercante – rivoluzionario Patrona Halil, albanese della Macedonia, che a Costantinopoli capeggiò una rivolta che nel 1730 costò il trono al sultano Ahmet III.

Come Scanderbeg, anche Patrona Halil ispirò romanzi, racconti e perfino film che diffusero in tutta Europa l’immagine dell’Albania, dei suoi miti, eroi, leggende e tradizioni. Quasi un secolo dopo fu la volta del pacha Ali di Tepelena, che nella sua corte di Janina ospitò scrittori, artisti, scienziati e diplomatici che arrivavano da ogni dove.
La sua munificenza verso gli ospiti stranieri e la crudeltà con cui esercitava le sue vendette ne fecero un perfetto tiranno “orientale”, un soggetto prelibato per la fantasia di scrittori che, senza aver mai messo piede in Albania, ne descrivevano per filo e per segno luoghi e personaggi basandosi su racconti altrui. Nell’illustrazione seguente, Ali Pacha dà il segnale dell’attacco prima di massacrare la popolazione di Gardiki, un evento che ispirò dei maestri del feuilleton come Alexandre Dumas ed Eugène Sue. Pochi mesi dopo la sua morte, la storia di Ali Pacha andò in scena a Parigi, e successivamente in una “azione pantomimica” rappresentata al Teatro alla Scala di Milano.

Per chi ancora pensasse che l’Albania sia entrata nella cultura europea solo grazie a Byron, questo viaggio Au pays des Skipetares appena appena pubblicato a Parigi fa luce sulla lunga storia della sua rappresentazione a partire dal XVI secolo. Divisa in tre sezioni (“Mots”, “Espaces”, “Images”), l’opera passa in rassegna gli aspetti linguistico/letterari, i luoghi e le descrizioni iconografiche attraverso cui gli albanesi sono stati raffigurati nell’Europa dei secoli scorsi.
Agli inizi del Novecento, uno scrittore inglese parlò dell’Albania come di un paese che “pur essendo in Europa, non ne faceva parte”. Ancora oggi, il nostro paese viene percepito come uno spazio di confine fra mondi diversi. Chissà se una migliore conoscenza del ruolo che l’Albania ha svolto nella creazione dell’immaginario letterario e artistico internazionale potrà contribuire a promuoverne una piena assimilazione nel contesto europeo.
Il libro
Olimpia Gargano, Au pays des Skipetares . L’Albanie dans l’imaginaire européen des XVIe – XIXe siècle, Paris, Spinelle, 2020, 310 pagine
Il libro è stato presentato in anteprima all’Accademia Austriaca delle Scienze di Vienna il 30 gennaio scorso
L’autrice
Olimpia Gargano, nata a Ravello sulla Costa d’Amalfi, è ricercatrice in Letteratura Comparata presso il Dipartimento CTEL dell’Université Nice Côte d’Azur (Francia). La sua ricerca verte sull’immagine dell’Albania nella cultura europea moderna e contemporanea. Fra le sue pubblicazioni più recenti, la prima edizione italiana di M. Edith Durham, High Albania(1909), pubblicata col titolo di Nella Terra del Passato Vivente. La scoperta dell’Albania nell’Europa del primo Novecento, Lecce, Besa, 2016, e la riedizione annotata di Ugo Ojetti, L’Albania, Milano, Ledizioni, 2017.
Au pays des Skipetares . L’Albanie dans l’imaginaire européen des XVIe-XIXe siècles è il suo primo libro pubblicato in Francia.
