Da vent’anni Xhimi Lazri traduce, in albanese, dall’inglese, dall’italiano, dal russo e dal francese. Considera la traduzione una parte di sé, di cui, ormai, non può più fare a meno, proprio come la musica e il pianoforte. Ho incontrato Xhimi in occasione della presentazione del libro in albanese di Erin Doom, pubblicato da Dituria, che ha tradotto insieme a Lura Baci, nel contesto della Fiera del libro di Tirana 2023. Abbiamo chiacchierato sulla traduzione e i suoi dintorni. Buona lettura.
Hai tradotto, insieme a Lura Baci, il libro di Erin Doom, Fabbricante di lacrime. Com’è stata questa esperienza?
Devo fare una distinzione tra l’esperienza in qualità di lettore e quella come traduttore. A mio avviso, l’autrice è riuscita a entrare sapientemente nel mondo degli adulti, fatto di speranze e di vissuto, nonostante i protagonisti siano degli adolescenti: è palese che tratta di un mondo che conosce molto bene.
Per tale motivo, non considero questo lavoro di traduzione particolarmente difficoltoso, perché non ho avuto a che fare con un idioma complicato o con espressioni dialettali, bensì con un linguaggio pulito e limpido. Le frasi non mi hanno destato particolare preoccupazione, non ho ritrovato periodi lunghi, come spesso succede nei testi in lingua italiana, cosa che costituisce uno scoglio importante da superare.
Nel libro si riscontra una grande attenzione emotiva, anche verso l’erotismo, quello tipico adolescenziale. Il ritmo narrativo è veloce, riuscendo a tenere sempre alte l’attenzione e la curiosità. L’introduzione dei momenti di suspense, quella piccola, non drammatica, rende la lettura molto piacevole.
È stata una traduzione a quattro mani…
Più che a quattro mani, come si usa dire in campo musicale, (sono un pianista), due mani hanno fatto la metà e due l’altra metà.
Mi incuriosisce la gestione di una trasposizione da parte di due traduttori.
Con la casa editrice Dituria questa è la mia seconda esperienza; ho tradotto il libro di Lucinda Riley, La sorella perduta, un volume che ha presentato una situazione completamente differente. Qui ho avuto a che fare con un linguaggio più complesso, con lo sviluppo di diverse situazioni e in più, con i continui rimandi al conflitto nordirlandese, con molte espressioni in lingua celtica, quindi, con svariate complessità.
Pertanto, i contatti con la traduttrice, con la quale ho collaborato, sono stati molto frequenti. In questo caso, come ho anticipato, non si sono presentate difficoltà, quindi non si è manifestata la necessità di un continuo confronto con Lura.
Da quanto tempo traduci?
Da quasi vent’anni.
Da quali lingue?
Prevalentemente dall’inglese, vista la vasta produzione letteraria in lingua: traduco dall’italiano, dal francese e ho fatto qualcosa anche dal russo. Senza dover guardare necessariamente le statistiche, si vede dai libri tradotti l’andamento della letteratura in Albania: è una considerazione inevitabile.
Non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Inghilterra sta diventando una potenza narrativa, (almeno così è da dieci anni a questa parte), e a essere apprezzati maggiormente sono i libri scritti da donne. Personalmente ho una preferenza per le scrittrici, i loro testi hanno qualcosa di diverso. Di traduzioni dal francese, per esempio, se ne fanno poche. Ho tradotto circa 120 libri, ma non tutti sono capolavori.
Cosa significa, per te, tradurre?
Tradurre, per me, va oltre la professione e la passione: è un modo di essere, io sono così e non posso apparire diversamente.
Come si fa a fare una buona traduzione?
La lunga e corposa esperienza gioca un ruolo essenziale. Ricordo le tante titubanze appartenenti ai primi periodi in questo campo, i tanti momenti difficili, che poi sono entrati a far parte del mio armamento, creando, nel tempo, una corazza imbattibile.
Una volta, su tante espressioni e tante parole, avrei dovuto pensare e ripensare: ora, quelle giuste da utilizzare, mi arrivano spontaneamente. Un altro elemento essenziale per tradurre nel miglior modo possibile, è il talento, che è innato e non si acquisisce. È difficile dire “ho l’inclinazione alla traduzione“, ma lo vedi dalle idee che ti vengono, dalle intuizioni improvvise e risolutive, delle quali non ti spieghi la provenienza: le cosiddette illuminazioni.
Affermi che l’esperienza sia essenziale per una buona traduzione; chiaramente anche tu hai iniziato da zero. Quali errori sarebbe bene non commettere, sin da subito, al fine di diventare un buon traduttore o una buona traduttrice?
Non è facile rispondere a questa domanda. Io ho iniziato con piccole traduzioni, articoli dall’italiano all’albanese. Ho vissuto in Italia e se vi fossi rimasto avrei tradotto anche dall’albanese all’italiano; ora non lo posso più fare. Sono del parere che per ottenere una buona trasposizione, ci debba essere un traduttore responsabile e un buon redattore di madre lingua, nel concetto di lavoro a quattro mani, di cui abbiamo parlato.
Non metto in dubbio che ci siano albanesi che conoscono molto bene l’italiano, perché di genitori italo-albanesi, per esempio, ma non basta. È importante che di base ci sia una grande cultura. Il mio consiglio è quello di leggere moltissimo, partendo dal Rinascimento albanese; soprattutto i giovani non leggono la letteratura albanese, si nutrono solo delle notizie della televisione, ma quella non è lingua. I maestri del linguaggio si ritrovano nei libri. Una volta, una traduttrice mi ha detto di non aver letto nemmeno Ismail Kadare. Questo non è corretto.
Hai affermato che, se fossi rimasto in Italia, avresti tradotto dall’albanese all’italiano. Non pensi che il traduttore debba essere di madrelingua?
Dipende dal libro: normalmente la letteratura moderna non è tanto codificata, nel senso che non è come tradurre un classico. L’importante è rispettare i giusti canoni, come ho specificato prima. Mi è capitato una volta, facendo l’analisi di una traduzione dall’albanese all’italiano, di aver notato come la traduttrice si fosse lasciata andare “senza freni”, quindi senza considerare il metodo e gli elementi che caratterizzano una buona traduzione. Questo è sbagliato, ma ripeto, va sempre valutato il libro.