L’ultima porta
di Miranda Haxhia

Nella ma lunga carriera di traduttore, poche volte mi son messo al lavoro senza prima pensarci due volte. La scelta dell’autore e dell’opera da tradurre sono sempre un problema per chi si accinge a presentare in un’altra lingua un’opera letteraria.
Ma dico, convinto di essere nel giusto, che traducendo dei racconti di Miranda Haxhia ho colto nel segno. E questo per la varietà delle trame, per l’originalità dello stile e della lingua e anche per il messaggio umano che trapela dalle sue pagine.
Con la sensibilità della donna-scrittrice, essa ci coinvolge nella vita dei suoi personaggi e ci fa partecipi non solo delle loro vicissitudini, ma ci invita a meditare e a cogliere il significato delle cose che appaiono semplici, e che racchiudono, come spesso accade senza che noi ci accorgiamo, valori e insegnamenti vitali.
La scrittura diretta, il susseguirsi quasi cinematografico degli episodi o delle descrizioni, che dà l’impressione di seguire un film, la cura dei dettagli (indubbiamente verranno ricordati quelli della pasta dentifricia nel racconto La moglie del ministro, o il colore giallo che sembra avvolgere tutto nel racconto Il colore giallo di luglio, o, se vogliamo, i cinquantanove scalini meno uno, oppure gli stuzzicadenti lasciati dappertutto per la casa, nel racconto L’ultima portai) hanno fatto sì che di Miranda Haxhia i suoi amici giornalisti dicano che dovrebbe fare solo la giornalista (campo nel quale unanimemente viene considerata eccellente e splendidamente diversa) mentre quegli scrittori affermano che dovrebbe dedicarsi esclusivamente alla letteratura.
Io, modestamente, penso che dovrebbe fare tutte e due le cose.
Amik Kasoruho