Un libro che nasce per un puro caso di omonimia questo L’incrocio e l’abisso di Bashkim Shehu, la cui narrazione si snoda intorno a due vite: quella di un albanese e quella di un serbo. L’opera è arrivata in Italia nel 2022, vincitrice del Fondo per le traduzioni messo a disposizione dal Ministero della Cultura albanese, tramite il Centro Nazionale del libro e della Lettura, (un sostegno economico per favorire la trasposizione delle opere albanesi in altre lingue). La traduzione è stata affidata a Mirela Alushi.
La genesi del romanzo
Corre l’anno 1998 quando l’esodo proveniente dal Kosovo, in quel di Barcellona, si fa particolarmente corposo. Una mattina di quello stesso anno, Bashkim Shehu è impegnato a tradurre una conversazione tra una giovanissima donna incinta e l’impiegata dell’assistenza giuridica dell’Associazione Catalana di Assistenza per i Rifugiati, quando sente pronunciare il nome di Agim Krasniqi. La ragazza racconta che l’uomo è suo zio, morto ammazzato. Bashkim le risponde che ha trascorso molto tempo con quell’uomo in carcere; ma da un altro scambio di battute con la sua interlocutrice, si rende conto che non può essere la stessa persona, e che è solo un caso di omonimia.
Da quel momento qualcosa scatta in lui; non riesce a rassegnarsi all’idea che il suo amico, con cui ha condiviso anni di prigionia, possa non esserci più. Il riaffiorare dei ricordi e la non accettazione del destino muovono la sua penna. Scrive la biografia di Agim Krasniqi, la cui vita inevitabilmente si interseca con quella di un’altra persona, per l’esattezza un serbo di nome Branislav Mihajlović per me quasi sconosciuto, avendolo incontrato solo una volta di sfuggita. Le loro vite si incontrano e si parlano come due specchi che si riflettono a vicenda, moltiplicandosi all’infinito. Ma, diversamente da Boro e Ramiz, nomi che per decenni in ex-Jugoslavia, più precisamente in Kosovo, erano un simbolo di fratellanza tra il popolo serbo e quello albanese del Kosovo, in lotta contro un grande male, il fascismo, e che ormai sono caduti nel dimenticatoio insieme alla loro esistenza, le vite di Agim e Brana, intrecciatesi in ripetuti e sventurati incroci della sorte, non possono in alcun modo ergersi a simbolo collettivo. Queste due vite ispirano solo oblio. (dal prologo). Il libro vede la luce in Albania nel 2003.

Due vite, una voce
Bashkim Shehu è uno scrittore che porta con sé la tragedia e la devastazione del carcere, con tutti gli strascichi di dolore che mai nulla potrà cancellare. La sua famiglia è stata distrutta dalla furia della dittatura e nessuno può sapere, se non chi, in qualche modo ci è passato, quali ferite può portare dentro uno scrittore con un bagaglio così doloroso, che inevitabilmente trasferisce sulla carta. L’incrocio e l’abisso nasce dai ricordi di un’Anima conosciuta durante gli anni di prigionia, al quale Shehu vuole dare voce, sperando di allontanare il pensiero della caducità della vita umana.
Ma Branislav Mihajlović non lo avrebbero mai torturato, anche se, come si poteva immaginare e come egli stesso aveva pensato, le autorità albanesi non potevano non accoglierlo con una certa diffidenza. L’avrebbero tenuto a lungo rinchiuso, il tempo che ritenevano opportuno in una condizione che assomigliava all’arresto. La guardia, che non nascose di essere un ufficiale della Sigurimi, non lo lasciava mai solo, tranne nelle brevi uscite, chiudendo sempre la porta a chiave. Il prigioniero poteva uscire dalla stanza solo per andare in bagno, in fondo al corridoio, dove l’altro a volte lo accompagnava e altre volte no. Ma comunque sia non gli è mai passato per la testa di fuggire. Attendeva con pazienza e non si preoccupava (e l’avrebbe sempre ricordato questo periodo, non senza una sorta di nostalgia e un pizzico di tristezza, proprio perché assomigliava al carcere, come spesso succede, ma l’avrebbe ricordato soprattutto in carcere dopo decenni, forse perché assomigliava davvero al carcere e, volente o nolente, gli avrebbe risvegliato la speranza che tutto si sarebbe concluso per il meglio). La guardia avviava vari tipi di conversazione, apparentemente innocui. Branislav Mihajlović non aveva nulla da nascondere e una gran voglia di raccontarsi, di uscire mentalmente da quelle mura.
Due uomini allo specchio, due figure emblematiche quelle disegnate dallo scrittore, a rappresentazione di quanto il potere e la credenza negli ideali possano essere drammaticamente distruttivi. Il primo, l’albanese, gli è molto caro, mentre il secondo, il serbo sostanzialmente non lo conosce, ma le vite dei due uomini si incontrano, arrivando quasi ad assomigliarsi, proprio come sono molto simili tra loro i poteri totalitari. Un volume di non semplice lettura, in cui Shehu prova a raccontare la figura di un uomo, attraverso la vita di altri uomini e tramite le situazioni che hanno prevalso nella sua stessa esistenza.
L’insicura penna
Un interessante ginepraio di personaggi anima il racconto; la forma, piuttosto articolata e apparentemente priva di semplicità, è ancora il frutto dell’urgenza di uno stato d’animo molto provato dall’esperienza carceraria. La penna sembra ancora tentennare tra la morbidezza dettata dalla paura e dal dolore e la ruvidezza profusa dalla rabbia. Questo è il motivo per cui si ritrova uno stile asciutto e povero, sovente privo di emotività, cose che lo scrittore recupererà nelle produzioni degli anni a venire.
Questo L’incrocio e l’abisso non rappresenta il miglior biglietto da visita di Bashkim Shehu. Tutto sommato è un romanzo ben strutturato, le vite narrate sono interessanti, ma il testo vede la luce in albanese in un momento in cui ancora Shehu non è molto abile nel disegnare i labirinti, limpidamente raffigurati in altre sue opere. Indubbiamente, Bashkim è uno tra i più apprezzati e validi autori dell’attuale panorama letterario albanese: proprio per questo, è importante contestualizzare le sue opere, in quanto ognuna è il frutto di un periodo di evoluzione e crescita dell’autore, oggi tra i più brillanti in Albania.