Pantaloncini neri, le bretelle incrociate sulla schiena, camicia candida, calze bianche, sandali di cuoio marroni. Biondo, con capelli ricci…Io. Io. Vestito bianco, a pois blu, senza maniche, sandali di cuoio bianchi, alta, bionda, capelli a onde, a onde…Mamma. Lei. Mano nella mano. Il minimo. Gli occhi sbarrati. Troppa curiosità. Poi… poi…
Lei e Io
Un bimbo ben vestito, biondo e con i capelli ricci: lui. Una donna bella, ben vestita e con i capelli biondi, ondulati: la sua mamma. Un posto brutto, con il filo spinato, i muri enormi e le guardie: il carcere. Un uomo alto, con una divisa a righe, dal volto sciupato: lo zio. Ancora non sa il bimbo, che quell’uomo, lo zio medico appunto, è stato condannato a dieci anni di prigione. È possibile che i miei ricordi partono proprio da un carcere? Ma sì, succede, non c’è niente da fare. Alla fine, la memoria stessa, non è una prigione?
I suoi ricordi da piccolo non sono solo negativi. La sua casa è in un paesino chiamato Belsh, ma ha ben vivo nella memoria il momento in cui torna a Tirana, in grembo alla sua mamma, nella cabina di un cacciacarri sovietico. Ricorda ancora il bellissimo paesaggio che li circondava, le colline, il verde, ma non ha presente l’arrivo nella capitale, dove ad attenderli ci sono i nonni materni. Forse era notte?
Il nonno era arrivato a Tirana negli anni Trenta e aveva costruito una casa nel bel centro della città, che era stata poi demolita per relegarli nella zona 21 dicembre (giorno del compleanno di Stalin). Sono ancora vividi i ricordi del suo viaggio verso Scutari, in un bus affollato e poi quelli della terribile esperienza scolastica, quando con Aleks tenta di scappare dalla furia della visita dentistica imposta a tutti gli alunni.

L’Io e l’Albania
Un interessante affresco storico, esistenziale e sociale questo Ognuno impazzisce a modo suo di Stefan Çapaliku, per la traduzione di Durim Taçi. Attraverso la storia narrata dal contenuto e dal taglio autobiografico, l’autore racconta uno spaccato dell’evoluzione storico-sociale dell’Albania, che abbraccia il lungo periodo che va dagli anni Sessanta fino alla morte del sanguinario dittatore Enver Hoxha. Racconta con brillante lucidità Çapaliku, sia del proprio Paese, isolato dai muri innalzati dal regime, imbrattati di sangue e coercizione, che di quanto accade intorno a esso.
L’arretratezza e la paranoia dittatoriale dell’Albania uccidono coloro che tentano di varcare i confini con la speranza di andare incontro a una vita migliore, mentre il mondo esterno è in piena corsa ed evoluzione. Grazie a quelle antenne rivolte verso le direzioni proibite, gli albanesi conoscono l’universo parallelo; si rende loro tangibile una realtà ignota, fatta di cose interdette, come la religione. Si imbastiscono discussioni su questioni a loro inibite, non vissute e spesso ci si eleva a giudici, per sentirsi vivi.
In effetti, nell’anno di cui stiamo parlando, i televisori in città, erano aumentati in modo significativo. L’impianto di fabbricazione radiotelevisiva di Durazzo aveva iniziato a produrre amplificatori, stabilizzatori e sintonizzatori radio, di serie. Con elementi importati a Nis, in Jugoslavia, è stata prodotta la televisione «Rozafa» mentre con altri elementi importati dalla Romania fabbricarono la televisione «Adriatik». Ma comprare un televisore non è stata un’impresa facile. Prima di tutto, perché sono stati venduti con autorizzazioni, inizialmente distribuiti dal Comitato Esecutivo di Distretto e successivamente da direttori di grandi aziende. Secondo motivo, la televisione costava circa quarantamila Lek oppure otto stipendi medi mensili di un operaio. Quindi dovevi rimanere per otto mesi senza mangiare per guardare la Tv una volta a casa e poi potevi morire in pace.
L’enciclopedia…televisiva
Acquistare la televisione costituisce un grande sacrificio per gli albanesi che vivono alla giornata, pur rappresentando, a quei tempi, qualcosa di veramente magico e prezioso. Innanzitutto, diventa un mezzo, (insieme alla radio), per poter conoscere le situazioni esterne al loro mondo, una lingua diversa e inesplorata ed è oggetto di unione e aggregazione di buon vicinato; sovente, anche chi ne è in possesso continua a recarsi da altri per guardare i programmi italiani o di altri posti remoti.
Non avevano tutti i torti. Da noi stavano al caldo, non mancava la chiacchierata, la battuta, il caffè e la grappa, ma anche il traduttore, tutto gratis.
Qualcuno definisce l’aggeggio “enciclopedia televisiva”, perché le frasi più orecchiabili e suggestive rimangono impresse nella memoria, entrando così nella consuetudine, nella quotidianità del popolo, fino a toccare la sfera dell’istruzione. La televisione dimostra anche una certa resilienza, (come si usa dire in quest’epoca moderna), quando, nonostante il disturbatore piazzato dal regime, riesce comunque a fare il suo dovere di informatore segreto.
Una pagina bianca?
È frizzante la narrazione di Çapaliku, anche quando le tematiche trattate diventano forti. Non annoia, non intristisce, non giudica; l’autore informa, narrando di se stesso e del suo percorso di vita fatto di studio e passioni. Racconta della famiglia, degli orrori intorno a sé, dei sogni infranti, di quelli realizzati, di follia e razionalità. Non disegna un quadro ben definito, non tesse una tela soppesante, bensì guarda, con la personale prospettiva, una dimensione già presentata in svariate modalità, anche nelle sue parti più oggettive.
Sono tanti i botta e risposta che caratterizzano il volume e che fanno da importante supporto, (insieme una buona dose di informazioni, che in alcuni punti potevano essere meglio sviscerate), alla costruzione dell’evoluzione storico, sociale e politica di un periodo cruciale per l’Albania sotto ogni punto di vista e caro a molti scrittori. L’autore lascia al lettore la scelta di come accogliere quanto riporta, di farsi una necessaria idea di quello che racconta.
La sua penna è sicura, non traballa e allo stesso tempo non lascia trasparire le emozioni, o quanto meno al lettore non arrivano. Giungono i fatti, i personaggi, la terminologia usata in alcuni stralci, ma le vive sensazioni appositamente volute, mai. Una caratteristica che potrebbe essere vissuta come una mancanza, ma che in realtà, dovrebbe essere vista come una maniera di consegnare un libro autobiografico pulito, privo di soggettività, in cui difficilmente il lettore può sentirsi trascinato, assumendo un ruolo da interessato spettatore. Questo Ognuno impazzisce a modo suo potrebbe appartenere a quel gruppo di testi, ai quali regalare una pagina bianca, dove il lettore può sentirsi libero di scrivere il suo finale e le sue emozioni.