Una pioggia di insulti per il bestseller «Libera», incentrato sulle memorie dell’Albania comunista, da parte di una ristretta cerchia di albanesi. È quanto afferma la sua autrice Lea Ypi.
Il bestseller tanto discusso è una sorta di memoriale sull’evoluzione del Paese delle Aquile, prima e dopo la caduta del comunismo, che ha ottenuto recensioni entusiastiche in occidente, provocando “insulti feroci” da parte di una minoranza di albanesi.
Libera di Lea Ypi, docente di Teoria politica alla London School of Economics, di primo acchito, non sembrava avere la stoffa del bestseller. Eppure, nel mese di novembre, il libro ha venduto circa 10.000 copie e presto sarà tradotto in diciassette lingue, tra cui il coreano e il mandarino.

Nonostante alcune critiche disastrose provenienti dal mondo albanese, il volume ha ricevuto recensioni a cinque stelle dal Daily Mail e dal Daily Telegraph ed è stato nominato libro dell’anno dal Sunday Times.
In Albania, invece, gli analisti e non solo, si sono scagliati contro il libro, con commenti duri e negativi, tanto che l’autrice ha dovuto fare appello agli stessi, affinché smettessero di inviare messaggi così “offensivi, accusatori e diffamatori”.
Lea Ypi dichiara di non aver avuto mai problemi ad affrontare chi non apprezza la sua scrittura, ma in questo caso ha sentito un netto rifiuto, identificando i commenti con brutte offese che sono arrivate da chi, forse, non ha mai letto il libro o che ha frainteso le sue critiche al capitalismo e al comunismo.
Protagonista della narrazione è una bambina dell’Albania degli anni ’80, alla quale viene insegnato ad adorare il dittatore Enver Hoxha e che scopre, solo dopo la caduta del regime, le opinioni dissidenti della sua famiglia.
Uno dei messaggi più importanti nel libro è che, per quanto un regime sia oppressivo, non schiaccia mai completamente la dignità umana.
La Ypi è stata accusata dalla critica albanese di soffrire della sindrome di Stoccolma, cosa che l’ha ferita profondamente.
Questo mi ha molto toccato ed è normale, se hai un nonno che ha trascorso quindici anni in una prigione comunista; non accetto di sentirmi dire che sto riabilitando gli assassini comunisti.
Sono giunte anche reazioni sessiste, come quelle contenute in alcuni messaggi che paragonano la scrittrice più a una showgirl che a un’accademica. Un’altra critica piuttosto dura è arrivata da chi ha tirato fuori un vecchio ritaglio di giornale, dove si citava la Ypi come un’undicenne che esprimeva il desiderio di aiutare il suo Paese, accusandola, così, di essersi rivoltata contro se stessa.
È una minoranza, ma è così volgare, così arrogante e violenta, che mi colpisce molto più delle altre critiche che sono state straordinariamente positive.
Nel libro racconta di essere stata vittima di bullismo da bambina, in parte perché parlava francese.
Chi lo sta facendo ora, assomiglia molto a chi mi bullizzava da piccola; sono lo stesso tipo di persone.
Gran parte delle critiche, sembra siano arrivate dopo aver presentato la versione albanese («Të lirë», Botimet Dudaj) del libro nell’ex casa di Hoxha, a Tirana.
Per me è stato come immaginare Hoxha all’inferno e avere nella sua casa qualcuno appartenente a una famiglia di dissidenti, che promuove un libro sulle memorie albanesi. L’ho trovato simbolicamente molto potente.
Un’idea la sua, che altri, invece, hanno giudicato in tutt’altro modo: in tanti sperano che l’edificio venga abbattuto quanto prima e la scelta di presentare il libro proprio in quella casa, ha suscitato indignazione. Qualcuno ha affermato che l’autrice volesse riabilitare la figura del dittatore. Anche la presenza all’occasione del primo ministro albanese, Edi Rama, e di molti dei suoi ministri, è stata mal interpretata.
Sono molto critica nei confronti del governo albanese, ma a qualcuno è parso che volessi manipolare la situazione.
Tra i righi di qualche notizia si legge che Ypi diventerà il prossimo presidente d’Albania.
Le fake news ripetitive, fanno in fretta a diventare una vera notizia, erodendo le critiche costruttive. I dibattiti devono essere basati sulla verità, altrimenti non possono essere definiti tali.
Nonostante le critiche negative, l’autrice afferma che il libro è riuscito a suscitare discussioni costruttive sui meriti del socialismo e del capitalismo.
Attraverso le storie di famiglia cerco di coinvolgere tutti in una grande conversazione sulla libertà: mia madre ha un’idea di libertà e mio padre ne ha un’altra. Quando funziona, apre grandi conversazioni non le chiude. E c’è una generazione più giovane che è preoccupata per il tipo di sistema in cui viviamo.
L’articolo in inglese sul sito di The Guardian