Paolo Rago, classe 1958, ha vissuto e in parte ancora vive in Albania, dove ha lavorato con la Direzione Generale della Cooperazione Italiana, l’UNICEF, la Banca Mondiale ed altre organizzazioni internazionali in qualità di coordinatore di progetti di cooperazione. Come capitano della Riserva Selezionata dell’Esercito Italiano ha partecipato più volte alla missione internazionale della KFOR in forza all’Ufficio per la Collaborazione civile militare (CIMIC).
Ha collaborato con l’Istituto Italiano di Cultura di Tirana con l’incarico di responsabile per la diffusione della lingua italiana. È stato capo-dipartimento della lingua italiana presso l’università religiosa “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana.
Un ruolo importante il suo nel coordinamento di un progetto finanziato dalla Direzione Generale della Cooperazione Italiana ed è membro del board dell’università privata “Marin Barleti” di Tirana. Ha curato la traduzione in lingua albanese di opere di saggisti italiani ed è autore di testi di grammatica italiana nonché di saggi e articoli sull’Albania. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere sui suoi progetti passati e futuri e sull’Albania. Buona lettura.
Vivi a lungo in Albania. Come ci sei arrivato?
Ho vissuto in Albania per venticinque anni, fino a quando non è arrivata la pandemia da Covid-19. Ci sono arrivato perché faccio parte della comunità di sant’Egidio, che con i primi anni Novanta, nel cosiddetto periodo della transizione, si è avvicinata all’Albania. In quel periodo, Mons. Paglia ha fatto un viaggio in loco, su incarico di Papa Giovanni Paolo II, con la finalità di ristabilire i rapporti diplomatici tra il Paese ormai liberato dalla dittatura e la Santa Sede.
Il monsignore, durante la sua permanenza ha visto da vicino la drammatica situazione in cui l’Albania versava. Così, abbiamo pensato di dare una mano a questa “nuova nazione”, improntando un progetto atto a combattere la malnutrizione infantile, che è stato approvato e finanziato dalla Cooperazione. Il progetto doveva avere la durata di un anno, ma si è fortunatamente prolungato fino al ’98.
Perché sei stato scelto proprio tu?
Non conoscevo l’Albania tanto meno gli albanesi. Fortuitamente, mi sono laureato con una tesi incentrata sul mondo italo-albanese, ma nulla di più. Mi hanno chiesto di partecipare attivamente a questo nuovo piano di lavoro e ho accettato, entusiasta dell’idea. Sono approdato in un’Albania che non aveva conosciuto ancora il grande esodo che noi tutti abbiamo visto e ricordiamo. Non avevo alcuna conoscenza e alcuna esperienza pregressa in merito. Dopo la conclusione del progetto, avendo nel frattempo intrecciato altri rapporti con enti e istituzioni, sono rimasto in Albania per altre iniziative.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Io continuo ad andare in Albania almeno quattro o cinque volte l’anno, tanto è vero che ho mantenuto anche la casa. Per me è un punto di riferimento, fa parte del mio vissuto, al di là dell’esperienza professionale. Sono più di trent’anni che frequento il Paese e questo mi ha portato inevitabilmente a integrarmi, creando un bagaglio che fa parte della mia vita. Ritengo di avere un’integrità multipla, e di sentirmi anche albanese (sono cittadino albanese di fatto). Sono molto legato all’Albania.
Hai scritto un saggio e curato tre libri sull’Albania. Ce ne parli?
Il primo volume, Tradizione, nazionalismo e comunismo nell’Albania contemporanea, è stato un un libro di reazione, perché vivendo in Albania ed essendo a contatto quotidianamente con diverse persone, mi è capitato di ascoltare tante banalità riguardanti la storia albanese. È vero che tutto contribuisce alla creazione di una nazione, ma raccontata nei termini in cui spesso si ascolta, sembra che l’orologio sia fermo a un secolo fa.
Sappiamo che gli albanesi hanno avuto una determinata storia, che però conosciamo fino a un certo punto, perché il regime ha fatto arrivare quello che voleva e come voleva, quindi sarebbe stato di rilevante importanza dedicarsi allo studio e alla ricerca per una corretta informazione, ma nessuno lo aveva fatto. Perciò, ho voluto scrivere un libro per confutare ii luoghi comuni ormai passati. Il testo non ha alcun carattere scientifico, ma di pura confutazione; è stato apprezzato sia dal lettore medio che in ambito accademico, dove mi hanno chiesto di approfondire alcuni concetti.
Ho pensato quindi di esaminare in maniera più specifica la storia albanese risalente al periodo compreso tra il secondo dopo guerra e il 1991. È stato possibile realizzare l’iniziativa grazie al supporto dell’ex Ambasciatore italiano a Tirana Alberto Cutillo. Da un nostro interessante confronto è emerso che effettivamente poco si sapeva di quel periodo storico e fu e fu proprio il dott. Cutillo a proporre uno studio in merito. Ho trovato l’idea molto interessante, anche perché io nasco come storico, anche se non ho mai espletato la mia formazione in campo professionale, rimanendo una passione che ho sempre coltivato.
Mi sono mosso subito, cercando amici e conoscenti disposti a partecipare al progetto, con cui avevo già avuto alcuni scambi di opinione e che si erano mostrati vogliosi di conoscere meglio l’Albania. Chiaramente, ho potuto contare su un sostegno economico e questo grazie all’Ambasciata italiana del momento. Ho creato un interessante gruppo di studio e gli storici che ne facevano parte hanno accettato di partecipare a un’unica condizione: avrebbero scritto articoli a loro scelta, basandosi esclusivamente sulle carte e documenti trovati nei vari archivi che avrebbero consultato.
È partito nel 2016 un vero e proprio progetto triennale di ricerca, portato avanti da veri storici che hanno esaminato i documenti contenuti sia negli archivi italiani che albanesi; sono venute alla luce informazioni molto interessanti, cosa di cui sono molto soddisfatto, perché si è aperta la prima strada di studio circa i rapporti tra Italia e Albania. È stata un’iniziativa nuova, mai nessuno aveva percorso questa via. Abbiamo potuto riscontrare e verificare che in alcuni periodi c’è stata una vera e propria mistificazione della Storia, che ha influenzato l’Albania e che, in qualche modo, è ancora presente nel Paese. Ultimamente qualcosa è cambiato con le nuove generazioni che studiano all’estero, che hanno potuto vedere come in altre parti funzioni diversamente. Con questa iniziativa ho voluto fare qualcosa di utile per l’Albania, non tanto per me stesso.
Il tutto è raccolto nelle tre pubblicazioni a mia cura: Una pace necessaria in cui si esplorano le relazioni bilaterali italo-albanesi durante l’arco di tempo che abbraccia il ventennio 1945-1965, Gli anni della distensione e qui la ricerca si concentra in maniera particolare sul periodo centrale degli anni della Guerra fredda e più precisamente sugli anni che vanno dal 1961 al 1978. In ultimo, Prima della fine, in cui si scrive degli anni che intercorrono tra la fine dell’alleanza dell’Albania di Enver Hoxha con la Cina di Mao Tse Tung (1978) e la caduta del muro di Berlino (1989), delineando la crescente importanza dell’Italia nei rapporti con l’Albania. Abbiamo scritto di Storia, di cose che non possono cambiare nulla nell’immediato, ma nel tempo sì, possono essere di grande supporto per una corretta visione degli avvenimenti. Forse saremo ricordati per aver fatto qualcosa di concreto.
Oggi questo studio continua?
Il progetto di per sé sarebbe concluso, in quanto l’arco di tempo da coprire riguardava gli anni a cavallo tra il 1945 e il 1991. In realtà, noi non siamo arrivati al ’91, bensì all’89, perché i materiali non erano disponibili. Diversa documentazione, specialmente quella riguardante il periodo tra gli anni Settanta e gli anni Novanta non era a disposizione, in quanto non versata nell’archivio del Ministero, ma rimasta in quelli delle direzioni di competenza e quindi non resa consultabile.
Sono molto orgoglioso per essere riuscito a far desegretare quel materiale e a renderlo disponibile, scavalcando in qualche modo le pratiche burocratiche e così abbiamo potuto portare avanti il progetto. Con i documenti riguardanti gli ultimi due anni, che poi, se vogliamo, sono tra i più significativi, non ci siamo ancora riusciti. Il progetto potrà definirsi concluso nel momento in cui riusciremo a visionare la documentazione del periodo mancante.
Quali sono i tuoi progetti futuri
Ho improntato una cosa molto interessante che spero di riuscire a realizzare. Abbiamo studiato la storia dei rapporti tra Italia Albania, ma non vanno dimenticati altre importanti interazioni degli albanesi, cioè quelle con la Jugoslavia, l’Unione Sovietica e la Cina. Ancora vige una visione molto comunista di queste relazioni, sono in giro pubblicazioni create senza una vera base di studio e documentazioni di supporto. Io avrei già tutto pronto per far partire un gruppo di studio, ho trovato persone interessate al progetto nei tre Paesi, ma per il momento è tutto fermo perché mancano i finanziamenti.
Com’è la situazione oggi in Albania?
In un recente passato sembrava che il flusso emigratorio dall’Albania si fosse bloccato; addirittura qualche albanese valutava l’idea di abbandonare l’Italia e di tornare nel suo Paese. Questo non è accaduto, perché sostanzialmente la situazione che sembrava diversa, in realtà, non è cambiata per niente e sempre per stessa ragione: l’inadeguatezza totale delle classi politiche.
Non voglio accusare nessuno, perché se volessimo lanciare accuse dovremmo farlo nei confronti di tutti. I governi che si sono succeduti non hanno mai pensato a fare il bene del Paese o alla sua reale ricostruzione. Non hanno mai fatto nulla in tal senso e lo dico con cognizione di causa. Certo, qualcosa si è smosso, perché l’Albania ha bisogno di tutto, ma nulla è servito per un suo vero e proprio sviluppo e la risposta sta nella continua emigrazione.
Gli albanesi continuano a vedere il proprio futuro fuori dal Paese e non credo che la situazione sia destinata a cambiare. Nessuno ha mai fatto realmente qualcosa, non esiste quel minimo di benessere sul quale costruire il proprio futuro, perché se non c’è un sistema valido che supporta, nulla può cambiare. Il punto è che non esiste un reale interessamento affinché succeda qualcosa.
Come vedi l’adesione dell’Albania all’Unione Europea? È un errore o una cosa giusta?
Non so se è un errore o meno: quello che so, è che l’Albania oggi non ha nemmeno una condizione necessaria per entrare nell’Unione Europea. Innanzitutto, non è uno stato di diritto: la gestione della giustizia è nel caos più totale, per esempio. È vero che è in atto una riforma, ma se alla base di essa vi è semplicemente l’idea di sostituire i magistrati e non esiste la minima intenzione di fare uno Stato di diritto, la situazione non regge.
L’Albania non è uno Stato funzionale: certo anche da noi, o in altre nazioni europee c’è qualcosa che non va, ma qualcos’altro regge. Purtroppo, proprio come nel passato, si tende a presentare l’Albania per quello che non è. Non esistono le condizioni di base per entrare nella Comunità Europea: basti guardare la figura del giornalista che in molti casi è costretto a piegarsi alle volontà dell’editore, che sovente è legato al partito di riferimento.
Si innescano meccanismi che fanno sembrare l’Albania simile ai paesi occidentali, ma non è così. L’Unione Europea, al momento, rappresenta un obiettivo irraggiungibile. L’industria è inesistente, l’agricoltura è distrutta, su cosa vogliamo farla confrontare con l’Europa? Se dovesse accadere sarebbe una scelta politico-strategica.
Quindi, che fine farà l’Albania, secondo te?
Non posso saperlo, naturalmente. Ritengo interessante la proposta fatta da Emmanuel Macron. È un fatto indiscutibile che l’Europa debba diventare una grande casa abitata da una famiglia di popoli legati da valori comuni. Altrettanto importante, però, è che ogni Paese ci arrivi con i propri tempi.
Macron propone di creare un grande cortile, che fa parte di quella casa, dove mettere tutti quei Paesi che non fanno parte della Comunità, in maniera tale da condividere gli obiettivi comuni e che ognuno possa arrivarci con i propri tempi e le proprie capacità. Non dimentichiamo, che oggi fanno parte dell’Unione Europea Paesi che hanno problemi con i confini o situazioni interne particolarmente gravose, tanto da renderli delle mine vaganti che possono scoppiare da un momento all’altro.