Recentemente sono stati editi dalla Casa editrice “L’Harmattan” di Parigi i “Carnets de voyages en Albanie (1931-1938)” di Jacqueline Bénézech-Monod-Herzen.
Il testo è pubblicato per la prima volta senza alcuna modifica e nel rispetto dell’ortografia originale ed è corredato da numerosissime fotografie di René Benézéch, inedite.

Il volume è il resoconto puntuale e giornaliero del viaggio nel Nord Albania dei due etnografi francesi – dal 16 agosto 1938 al 15 gennaio 1939 – organizzato sotto l’egida del Musée de l’Homme di Parigi, che aveva incaricato René – ottimo fotografo – di studiare i costumi tradizionali indossati dagli albanesi in quel periodo.
Il racconto, redatto giorno per giorno da Jacqueline, e le fotografie uniche di René offrono al lettore un documento prezioso su un paese di grandi tradizioni e poco visitato nel periodo tra le due guerre.
Nell’ampia introduzione Luan Rama, ex ambasciatore d’Albania a Parigi, racconta di aver ritrovato nei cassetti del suo ufficio a Parigi il testo manoscritto dell’autrice e di averlo letto con grande interesse.
Il viaggio durò oltre un mese – in continui spostamenti in zone difficili, tra valli e precipizi, tra temporali e vere e proprie tempeste di neve.
Il viaggio ha inizio il 18 ottobre 1938 a Shkodra, ma i due protagonisti erano giunti in Albania sin dal 15 agosto. Da quella data hanno soggiornato a Tirana per ottenere i numerosi permessi ed adempiere alle innumerevoli procedure amministrative richieste dalle autorità albanesi per consentire loro di compiere il viaggio di studio.
Finalmente il 18 ottobre partirono da Tirana per Shkodra per proseguire subito verso il Nord e giunsero fino a Vermosh, al confine con il Montenegro.
Il convoglio della spedizione era costituito dai loro due cavalli, oltre ad altri due con i bagagli, da due uomini e da un traduttore.
Jacqueline descrive il viaggio giorno per giorno, con le difficoltà di una vita al limite della povertà, in condizioni spartane in zone situate oltre i 2000 metri di altitudine, attraverso un paese di straordinaria bellezza e di paesaggi indimenticabili.
Ma soprattutto sottolinea la grande ospitalità della popolazione albanese, di questi montanari generosi, che dividono con l’ospite anche l’ultimo pezzo di pane. E soprattutto la loro calorosa accoglienza, pronti ad aiutare lo straniero che viene da lontano e bussa alla loro porta, secondo la legge medievale non scritta del Kanun che dice “la casa dell’Albanese è la casa di Dio e dell’amico”.
E’ per questo che i montanari non esitano a rischiare la loro vita affinché i due studiosi – ospiti ed amici – possano fare ritorno sani e salvi alle loro case.
Particolarmente toccante e profondo di significato l’episodio del 31 ottobre del 1938 che la studiosa ricorda: viveva ospite in una casa nel lontano villaggio di Vermosh, il centro abitato più a nord dell’Albania, che confina con i comuni montenegrini di Gusinje e Plavalla – situato ad oltre 1000 metri di altitudine, quando la moglie del proprietario, madre di una piccola bambina – di nome Pashka – le chiese – dopo molte esitazioni – una cosa che le procurò “una delle più grandi gioie della sua vita”.
La mamma le chiese se voleva accettare di essere la “nuna” di Pashka, creando un legame indissolubile tra lei e la bambina.
In Albania – scrive Jacqueline – è usanza non tagliare i capelli dei bambini prima che compiano un anno di età.
Il primo taglio di capelli è una data di grande importanza nella vita di una persona, quasi come il battesimo in Francia.
Non sono i genitori che compiono il primo taglio, o almeno la prima ciocca, ma una persona che i genitori vogliono particolarmente onorare e che, da quel momento, entra a pieno titolo a far parte della famiglia con gli stessi diritti e doveri dei genitori. Questo legame è così stringente che la “nuna” non può sposare un membro della famiglia acquisita.
L’indomani mattina, con grande semplicità, si svolse la cerimonia. Riuniti tutti i componenti della famiglia davanti alla casa, la mamma portò la piccola a Jacqueline che, con grande emozione, tagliò la prima ciocca di capelli a Pashka. Seguì un piccolo scambio di doni.
La cerimonia dette una grande gioia e commozione all’autrice: ella ebbe tutta la vita il grande desiderio di ritornare tra quelle montagne e vedere di nuovo la sua Pashka e i suoi fedeli amici albanesi, desiderio che purtroppo non poté realizzare per le difficoltà politiche che isolarono il paese per oltre cinquanta anni.
Il diario continua con il ritorno a Tirana e la visita di alcune città, sempre con grande attenzione ai costumi ed alle usanze, che fanno di questo saggio una necessaria lettura per chi voglia approfondire la conoscenza dell’Albania.
E’ infine da sottolineare che uno dei fondamentali contributi del viaggio dei due etnografi alla conoscenza dell’Albania è la straordinaria documentazione fotografica, depositata al Musée de l’Homme di Parigi.
René fotografava tutto quanto era possibile, dal nord al sud del paese: i paesaggi, le grandi case, i mercati, gli oggetti della vita quotidiana, i ritratti dei preti cattolici, dei Bektachis, le moschee, i costumi delle varie regioni.
Tutto questo costituisce oggi un tesoro inestimabile per l’Albania e questo libro ne è una testimonianza importante.
