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Intervista a Edon Qesari, il nuovo traduttore di Sciascia in Albania

Anna Lattanzi Anna Lattanzi
2 Dicembre 2022
Edon Qesari

Edon Qesari

Ho incontrato Edon Qesari a Tirana, durante Fiera del libro, in occasione dell’evento dedicato alla promozione del volume Dita e Kukuvajkës (Il giorno della civetta) di Leonardo Sciascia, pubblicato dalla casa editrice Dituria, per il quale Edon ha curato la traduzione in albanese. Abbiamo fatto un’interessante chiacchierata, durante la quale sono emerse importanti e stimolanti riflessioni. Buona lettura!

Edon, lei è traduttore e docente universitario, giusto?

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Giusto. Insegno all’Università, faccio lo storico di mestiere e sono Ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Università di Tirana. Mi occupo dei rapporti tra l’Italia e l’Albania, con riferimento al periodo che intercorre tra le due guerre mondiali. Mi interesso anche dei flussi culturali e sociologici che caratterizzano i due Paesi.

Come diventa traduttore?

Divento traduttore per passione: leggo tanti libri inerenti la mia professione, ma amo tantissimo la letteratura. Mi è sempre piaciuto attraversare i confini tra le diverse culture e nulla più della traduzione è in grado di favorire questo viaggio interculturale.

Parliamo della traduzione de Il giorno della civetta. Intanto, cosa ha significato approcciarsi a Sciascia? 

Il giorno della civetta è stato il primo libro di Sciascia che ho tradotto, che ha già conosciuto una trasposizione in albanese, se non erro, nel 1981. Secondo il mio parere e quello dell’editore, la prima traduzione rispecchia molto l’anima di quel tempo: per questo, proprio io che mi reputo un partigiano della ritraduzione, ho ritenuto che il volume necessitasse di un’altra modalità con la quale parlare in epoca odierna.

Sciascia 1

Indubbiamente, approcciarmi a Sciascia in veste di traduttore è stata una grande novità per me. Mi sono avvicinato all’autore già un po’ di tempo fa, in qualità di lettore: non dico di aver letto quasi tutto, ma credo di conoscere la parte più importante della sua opera.

L’approccio come traduttore ha richiesto maggiore attenzione e delicatezza rispetto a quello da lettore, in quanto non si è trattato soltanto di creare una comunicazione tra due lingue, ma di estendere tale relazione a due modi di pensare. Sciascia è un autore che scrive in italiano, non in siciliano, anche se la struttura della frase e la sintassi, come altre caratteristiche dello stile e della scrittura, vengono influenzate dalla sua cultura di provenienza. In quest’ottica, mi sento di dire che tra la Sicilia e l’Albania non c’è di mezzo solo il mare, ma qualcosa in più.

Pertanto, al piacere di tradurre Sciascia, che come ha specificato il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Alessandro Ruggera, è un autore di importanza capitale per l’Italia, si è unito quello di metterlo in condizioni di parlare in albanese, cosa che si è rivelata alquanto complessa.

Quali differenze sostanziali ci sono tra la prima e la seconda traduzione del testo?

La prima cosa che mi viene in mente è il gergo. Molto probabilmente nell’81, le problematiche trattate dall’autore sono state percepite come aliene, straniere, come anti sistema rispetto alla realtà nella quale si viveva. Stiamo parlando di tematiche come la criminalità organizzata, quella di stampo mafioso, della conflittualità ad altissima drammaticità di una comunità siciliana, che vuole essere la sintesi dell’intera cultura di Sicilia, tentando di comunicare con tutte le subculture mediterranee. In quel momento, tale realtà così complessa ha rischiato di essere percepita come qualcosa di diverso, come un fenomeno appartenente all’altrove.

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Trattare di queste tematiche oggi, di transizione socio-economica, di fenomeni che hanno inciso in maniera rilevante anche sulla società albanese, componendo in qualche modo il nostro essere, ha richiesto un altro Sciascia, che attraverso la sua sicilianità può ancora parlare alla società odierna.

Nella nostra Albania, problemi come la mafia o tematiche come quelle che animano il grande dibattito tra la cultura locale e quella nazionale, argomentazioni simili a quelle di una concorrenza sempre più accanita che sfida lo Stato e i suoi piani, sono questioni molto più sentite, che non è stato affatto semplice portare nella traduzione.

Cosa significa “sono un partigiano della ritraduzione“?

Ogni scrittore, ogni romanzo, ogni opera d’arte costituiscono, in qualche modo, la rappresentazione dello spirito di un’epoca e questo vale anche per la traduzione. Nello specifico, la trasposizione sceglie determinate parole per portare da una lingua all’altra un testo e nella modalità appartenente all’epoca in cui viene effettuata. Sarebbe impossibile immaginare oggi Shakespeare, Dostoevskij, Tostoj e lo stesso Sciascia tradotti una sola volta: sorge sempre la necessità di una ritraduzione, perché la società cambia ed è importante che anche gli autori di un tempo possano rivolgersi al lettore con il giusto linguaggio. Sono convinto che le ritraduzioni rappresentino un contributo fondamentale nel processo di attualizzazione delle opere letterarie.

Al di là della grandezza di Sciascia, perché consiglierebbe agli albanesi di oggi di leggere questo testo?

Preferisco articolare la mia risposta in due parti: al di qua di Sciascia e al di là dello scrittore specifico. È mia opinione che Sciascia abbia insistito (nella sua vita di scrittore, ma anche in quella di persona pubblica impegnata nella vita politica italiana), sul fondamentale concetto che vede il fenomeno mafioso caratterizzante la collettività siciliana, come un evento radicato negli etimi culturali della società.

La grande sfida nei confronti dello Stato non è un fatto spiegabile esclusivamente in termini superficiali di esplicazione penale e giuridica; non è una questione legata ai tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, bensì è un fenomeno le cui radici vanno ricercate nella cultura sociale. Infondo per Sciascia, la Sicilia ha rappresentato una sorta di metafora per spiegare tutta l’Italia.

Parlando dell’Albania di oggi, quindi andando oltre Sciascia, desta molta perplessità il fatto che, quanto avvenuto dopo la caduta del sistema socialista abbia trovato spiegazione in superflue  teorie giuridico-penali, senza alcun approfondimento degli aspetti di forte radicamento antropologico.

In questo senso, Sciascia parla al di là della sua terra di provenienza e della sua stessa cultura. Partendo da questa opinione, io penso che al lettore di oggi si possa spiegare la società attuale attraverso le metafore sciasciane e al contempo, aiutarlo a comprendere, in maniera più limpida, qual è il male connaturato all’animo umano.

Un po’ imitando Sciascia, uno scrittore dal profilo pessimista (caratteristica che si è accentuata verso la fine della sua vita), io cerco di fare tesoro di tale negatività per riuscire a comprendere meglio ciò che lega il sistema nel quale viviamo a questa sorta di maledizione, che amalgama la democrazia e il liberalismo con alcuni fenomeni intrinsechi di criminalità organizzata. In questo senso, andando oltre Sciascia, ma prendendolo per mano, forse il lettore odierno può ritrovare l’immagine speculare di se stesso, sia nella sua scrittura che nella sua figura.

Argomenti: Edon QesariDituria
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