Avevo già avuto il piacere di incontrare Stefan Çapaliku nella capitale albanese, ma il tempo tiranno non ci aveva permesso di fare una chiacchierata come si deve. Ci siamo ritrovati in occasione della Fiera del libro di Tirana e così ho potuto intervistare Stefan, che ha raccontato a me per voi, della sua vita personale, di quella di drammaturgo e di scrittore di prosa, spiegando come hanno visto gli albori il libro tradotto in italiano Ognuno impazzisce a modo suo, che abbiamo recensito e le altre sue fatiche letterarie.
Buona lettura!
Chi è Stefan Çapaliku?
Sono nato a Scutari nel 1965 e sono cresciuto in una famiglia scutarina tradizionale. Appartengo alla comunità cattolica di Scutari e ho vissuto in un quartiere che era il cuore pulsante della città vecchia. Durante la mia adolescenza ho giocato a basket a livello agonistico, fino a quando non ho terminato di frequentare la scuola media.
All’epoca il regime comunista era nel vivo del suo potere e tra le decisioni che prendeva in merito alla vita delle persone, vi era quella che prevedeva chi poteva proseguire gli studi e chi no. I criteri in base ai quali si valutava erano due: la vita pulita e un buon curriculum scolastico. Io non ero tra quelli dall’esistenza pulita, in quanto uno dei miei zii era stato prigioniero politico per ben due volte, per lunghi periodi e per questo mi fu impedito l’accesso all’Università. Accadde nel 1983.
Nel 1985, grazie ad alcune conoscenze, sono riuscito ad arrivare a Tirana per poter intraprendere gli studi universitari di Lingua e Letteratura albanese. Ho terminato il ciclo accademico nel 1988 e non ho potuto avere un lavoro in ambito culturale, sempre a causa della mia parentela dai trascorsi non limpidi. Finalmente, nel 1990, con la caduta del comunismo, ho potuto inserirmi nell’insegnamento universitario a Scutari, dove mi sono specializzato in Estetica.
Nel 1993 ho avuto la fortuna di trascorrere un anno accademico a Praga, presso la Central European University dove ho ulteriormente approfondito le mie conoscenze di Estetica. In quel periodo è nato il mio interesse nei confronti della cultura italiana, di Benedetto Croce, di Giovanni Gentile e della Scuola di Estetica di Bologna che mi ha dato l’opportunità di conoscere persone di rilevante importanza culturale.
Nel 1998 ho ricevuto una proposta di lavoro dal Ministero della Cultura, che ho accettato: così mi sono trasferito a Tirana. È stato un impegno professionale gratificante, in quanto mi sono occupato del mondo dei libri, fino a quando non ho dato le dimissioni per intraprendere l’avventura lavorativa, che è ancora in corso, con l’Accademia degli Studi Albanologici, presso il Dipartimento di Studi Letterari dell’Istituto di Lingua e Letteratura albanese. A partire dai primi anni del 2000 ho insegnato Estetica presso l’Università delle Arti, un impegno che ho portato avanti fino al 2015.
Quando arriva il teatro?
Ho iniziato a scrivere molto presto, sin dai tempi del ginnasio, tanto che il mio primo libro di poesie è stato pubblicato nel 1993, proprio al mio ritorno da Praga.
Hai pubblicato qualcosa durante il regime?
Sì, ma piccole cose su una gazzetta per studenti, più che altro articoli. Come scrittore sono nato e cresciuto nel periodo della transizione albanese. Nel 1994 ho scritto e pubblicato una seconda antologia in versi. Successivamente a queste pubblicazioni è nato il mio amore per il teatro. Intorno alla metà degli anni Novanta a Scutari viveva e lavorava Serafin Fanko, un famoso regista con cui ero lontanamente imparentato.
Grazie a Serafin ho potuto conoscere l’altra faccia del teatro, quella del dietro alle quinte e mi sono reso conto che la scena si veste di un’altra dimensione vista da dentro, cosa che mi ha profondamente affascinato. Ho pensato quindi, di scrivere un testo teatrale intitolato L’invito a cena, dal profilo surrealista, che si è rivelato un successo, tanto da farmi vincere il Premio Nazionale Albanese come miglior drammaturgo, anche se esordiente. Indubbiamente, il sostegno di Serafin ha avuto un ruolo determinante in questa prima parte del percorso.
Da quel momento ho scritto ben 40 testi teatrali e continuo a scriverne, anche se non con il ritmo elevato di un tempo. Nel 2006 ho messo in atto una svolta decisiva per la mia attività teatrale, diventando regista dei miei testi. Ho messo in scena una trilogia, tra cui l’ultima rappresentazione intitolata Allegretto Albania che ha ottenuto un successo internazionale, tanto da ricevere un Premio prestigioso dalla Germania come autore di drammaturgia.
Questo componimento è nato nel contesto di un grande progetto culturale italiano, che ha coinvolto anche l’Albania. La storia che anima il dramma è una commedia nera e per questo il titolo mi è sempre sembrato ironico: allora, come ora, pensavo che l’Albania non destasse alcuna allegria a causa delle problematiche che la affliggevano, purtroppo sempre attuali, ma agli occhi degli italiani che vedevano prevalentemente il lato esotico, era un Paese che poteva essere definito allegretto.
Quando nasce la tua necessità di scrivere in prosa?
Nel 2016 mi sono recato a San Nazer, una cittadina bombardata durante la Seconda Guerra dagli alleati, dove esiste un grande bunker costruito dai tedeschi, alcuni grattacieli e delle case edificate a grande velocità per dare un’abitazione a chi ne era privo. Proprio in uno di questi grattacieli situati di fronte al porto, ho iniziato a scrivere Ognuno impazzisce a modo suo, una sorta di confessione sincera di un bambino che vede il mondo attraverso la televisione.

Nell’ambito delle vicende che animano la storia, ho giocato con il tempo che è pura fiction, in quanto non corrisponde alle vicende storiche. Per esempio, ho accostato l’anno in cui l’Albania è stata dichiarata Stato ateo a quello in cui la televisione è arrivata in casa mia. È stata una scelta ponderata, in quanto ho voluto dare un messaggio ben preciso: mentre nel mondo esterno veniva distrutta e bandita la religione, in casa ne nasceva un’altra dettata dai media. Questo mi ha permesso di non andare fuori casa per trovare la mia ispirazione letteraria e di poter narrare di come quello che accadeva a livello globale venisse interpretato a livello locale.
Il volume ha conosciuto un immediato successo, delle belle recensioni, soprattutto tra i lettori del nord d’Albania: addirittura, si è creata una comunità di appassionati a sostegno del libro e dell’autore. Nulla, invece, è stato riconosciuto dalle istituzioni che assegnavano i Premi letterari, che non hanno menzionato il romanzo nemmeno tra quelli che destavano interesse.
Ognuno impazzisce a modo suo è stato tradotto in primis in francese e non poteva esserci felicità più grande per me, che trovare il mio volume nelle librerie in Francia. In seguito è stato pubblicato in Serbia, dove ha avuto molto successo e poi in Macedonia, in Italia, in Bulgaria e in Germania. Hanno poi visto la luce altri due volumi: in questo modo sono entrato nel mondo della prosa.
Il libro Mbyllur për pushime (Chiuso per ferie), pubblicato in albanese, è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale (si sta occupando della trasposizione in italiano il bravissimo Alessandro Mayer): ho voluto scrivere questo testo perché penso che la Storia albanese, come quella di altri Paesi, sia scritta esclusivamente dai vincitori. Nella realtà, però, un ruolo determinante lo hanno avuto anche i vinti che hanno offerto tutt’altra visione ed è a loro che ho pensato di dar voce. La storia si incentra sul folto gruppo di sodati italiani rimasti in Albania in seguito alla capitolazione italiana, tra il fuoco tedesco e quello dei partigiani albanesi. Chi li ha salvati? Proprio il popolo albanese.
Quanti romanzi hai scritto in tutto?
In totale sono cinque. L’ultimo si intitola Një engjëll veshë me frak (Un angelo in frac), in cui racconto la vita del noto compositore Prenk Jakova morto suicida nel 1969 per le pressioni del governo comunista e dopo aver vissuto una storia d’amore infelice. Jakova è famoso per aver scritto la prima opera albanese e con lui ho voluto rappresentare l’Albania del dopoguerra, completando il ciclo. Ognuno impazzisce a modo suo è ambientato nel periodo comunista, Chiuso per ferie in piena seconda guerra e Un angelo in frac nel dopo guerra. Sono sempre più convinto che uno scrittore debba testimoniare la sua epoca.