Vito Saracino, classe 1990, ha vissuto per più di un anno in Albania, dove si è dedicato al dottorato di ricerca in “Cultura, Educazione, Comunicazione” per le università di Roma Tre e Foggia.
Il suo legame con l’altra sponda dell’Adriatico prosegue e il ricercatore continua con tenacia a setacciare la storia shqipetara e a visitare in lungo e in largo l’Albania, dove in maniera certosina, si sta occupando da ormai cinque anni di ricostruire, approfondire e valorizzare la storia sociale dei media albanesi, adoperando un metodo di ricerca misto che coinvolge sia i testimoni delle vicende radio-televisive-cinematografiche degli ultimi sessant’anni, che l’immensa mole di documenti conservati negli archivi.
Un ingente lavoro che Saracino, di origini arbëreshë, svolge grazie a diverse iniziative della Fondazione Gramsci di Puglia, della Regione Puglia e dell’Università di Foggia, dove attualmente è Assegnista di Ricerca per il progetto: “L’Informazione locale come costruzione sociale” e albanesi come l’Archivio Centrale del Cinema Albanese, con il quale è in atto un’interessante iniziativa di formazione del personale specialistico per la salvaguardia del patrimonio cinematografico albanese a partire dalle singole pellicole fino a giungere alla digitalizzazione dei film.
Fra le opere del giovane ricercatore trentaduenne dedicate all’Albania, ricordiamo il volume scritto a 4 mani con la ricercatrice Antonella Fiorio (2020) dal titolo: Così vicini, così lontani. La prossimità italo-albanese dalle origini del secolo breve alla Resistenza esito del progetto della Fondazione Gramsci di Puglia e della Regione Puglia intitolato “Tracce di Resistenza: la Brigata Gramsci in Albania” e soprattutto il volume Ciao Shqipëria! Il secolo dei media nei rapporti culturali italo-albanesi, ultimo lavoro dell’autore. Abbiamo scambiamo due chiacchiere con l’autore, che ci ha parlato dei suoi progetti presenti e futuri. Buona lettura.


La tua passione e curiosità per l’Albania parte da molto lontano. Ce la racconti?
Certo. Credo che ogni lavoro di ricerca, che si spera possa diventare un libro, abbia sempre una lunga sequela di aneddoti che va a incidere inevitabilmente sulla stesura del testo: cito un altro libro per parlare della mia opera. Spesso mi sono rivisto nel personaggio principale di “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer, che parte alla volta dell’Ucraina per cercare frammenti del passato della sua famiglia originaria di Odessa, città purtroppo al centro della cronaca di tutti i giorni.
Come lui, io ero intriso di storie raccontate; le mie prime interviste, con tanto di taccuino, sono state fatte a mio nonno e a sua sorella, che con enfasi e orgoglio, narravano la loro storia di arbëreshë della comunità di Chieuti fra Puglia e Molise, descrivendo con pathos e dovizia di particolari un’“Albania mitica”, popolata da eroi, che non avevano mai avuto la possibilità di visitare, se non nei loro sogni, ma che conoscevano grazie ad una solida tradizione orale tramandata di generazione in generazione.
Dopo la “chiamata alle armi” di Clio, Musa della Storia (nonché casualmente anche la mia automobile), ho scelto di riannodare quel filo con le origini e di concentrarmi su quei contatti inter-adriatici.
Le relazioni fra Italia e Albania sono un terreno spesso dibattuto nell’ambito della ricerca storica diplomatica e il tema della “vicinanza culturale per via dei media” viene spesso utilizzato nei discorsi pubblici di entrambi i Paesi. Cosa ti ha spinto ad approfondire questa macro-area?
La mia ricerca parte proprio dalla volontà di decostruire una semplificazione della narrazione romanzata e mainstream dei contatti Italia-Albania, secondo la quale l’Albania è la ventunesima regione italiana, che “tutti” gli Albanesi sanno la lingua italiana grazie alla televisione ed altri luoghi comuni presenti nella vulgata dei rapporti che intercorrono fra le due nazioni.
Le relazioni mediatiche fra i due paesi, che sono al centro di Ciao Shqipëria!, non possono essere riassunte in poche parole e in scarne frasi di rito; in realtà, esse hanno subito di un lungo processo di ricostruzione, che non parte dalle frequenze della Rai che raggiungono le sponde adriatiche negli anni sessanta e settanta.
Questa evoluzione conosce una fase prodromica che inizia già alla fine dell’Ottocento, quando nonostante l’Albania fosse ancora una provincia dell’Impero Ottomano, i maggiorenti dell’Italia del sud, talvolta arbëreshë di Calabria prima e imprenditori pugliesi in seguito, tentano, con la creazione di giornali in lingua italiana e albanese, di affascinare e abbagliare con refrain suadenti il vicino albanese e a condurlo verso una marcia condivisa verso il Novecento.
L’impostazione del lavoro “Ciao Shqipëria!” mescola sia fonti di storia ufficiali, come documenti d’archivio, che storie personali di testimoni. Come mai è stata scelta questa formula?
Fin dalla genesi di Ciao Shqipëria! c’era una forte volontà di ricomporre un mosaico variegato per tentare la più ampia descrizione di una storia dei media didascalica, con il fine fondamentale di tener conto di come le storie personali siano imperniate delle vicende legate al mondo della stampa, radio, televisione e web.
I media non rappresentano solo la colonna sonora o visiva della storia albanese, ma sono personaggi che portano alla luce ricordi personali toccanti e colmi di significato sia per chi scrive che per chi legge; le rimembranze risultano fondamentali al profilo “sentimentale” del lavoro, per rendere più comprensibile le vicende storiche di una realtà come l’Albania, che talvolta risultano incomprensibili ad un pubblico di non addetti ai lavori.
Ritengo maggiormente utile, ai fini di una coerente ricerca, leggere le interviste dei perseguitati politici che hanno subito sulla propria pelle il dolore delle condanne per “agitazione e propaganda”, figlie della proibizione. Un esempio su tutti, la vicenda che ha colpito il direttore della radiotelevisione albanese, che si è trovato al centro di un vero e proprio assedio armato durante un tentativo di colpo di stato.
Per non parlare della speaker del programma italiano di Radio Tirana, riconosciuta solo dalla voce dai genitori in un paesino dell’Appennino in Italia. Il vicinato si riuniva per ascoltare tutti i giorni, in religioso silenzio, i proclami del partito, ma con la soave voce della figlia di quella terra, un unico modo per sentirla vicina pur essendo lontani e inavvicinabili a causa di una brusca cortina di ferro.
A chi è destinato questo lavoro e come la storia dei media albanesi può interessare un pubblico non di nicchia?
In questo lavoro ho cercato di utilizzare uno stile di scrittura che facilitasse la lettura di un pubblico fatto non solo di esperti del settore, con la speranza di suscitare, con la pioggia di parole, la curiosità di lettori che grazie a questo libro possono affascinarsi alle differenti tematiche trattate. Ritengo che Ciao Shqipëria! sia solo la punta di un iceberg, ma dalla striscia del tempo che si è delineata, si possono creano numerosissimi link di ricerca e di approfondimento per ricercatori sia albanesi che di tutte le nazioni.
Mi auguro che tutti siano concordi nell’ammettere che la storia mediatica albanese rappresenti un unicum fra quelle dell’area adriatica e mediterranea, per via degli stretti rapporti con la stampa e la radio italiana nelle sue fasi primordiale e non solo. Per i tentativi cosmopoliti di Radio Tirana che si rivolgeva ai marxisti-leninisti di tutto il globo con trasmissioni di propaganda, che andavano in onda in quasi tutte le lingue del mondo, raggiungendo persino la Nuova Zelanda; per la storia della stampa democratica albanese, che si diffonde a macchia d’olio, seguendo diversi modelli occidentali subito dopo la caduta del regime o i modelli di imitazione televisivi presenti tuttora sulla televisione albanese.
Il vaso di Pandora è stato scoperchiato, lo sdoganamento della storia dei media che in passato veniva vista come un insieme di racconti di costume è uno sprono per tanti ricercatori, giornalisti, studiosi a fare tanto e a fare meglio. Sono davvero lieto di come il lavoro sia stato accolto dai figli della migrazione albanese in Italia, ragazzi e ormai adulti spesso alla ricerca di storie riguardanti la storia del loro Paese d’origine.
“Ciao Shqipëria!” è un libro ponte fra le due nazioni ed è già stato presentato in Albania e a questa opera è dedicato lo speciale di Report Tv Si u shpëtuan disqet e Radio Tiranës, nipi arbëresh sjell historikun e medias shqiptare”. Un’accoglienza che spingerà ad altri lavori?
L’attenzione ricevuta dal libro in Albania non può che spronare a fare del mio meglio e ad entusiasmarmi per nuove avventure. Auspico per il futuro la traduzione in lingua albanese del testo per favorire la maggior diffusione al di fuori del circuito della comunità albanese italofona. Spero di tornare presto a Tirana ed altrove per presentarlo nuovamente, perché credo che la vita di un libro non finisca dopo la sua stampa ma che cominci quando lo si inizi a presentare con le domande dei lettori e le riflessioni che arricchiscono il testo. La stampa del volume è come un parto, ma poi il libro come un bambino deve cominciare a camminare sia tenuto per mano dall’autore che con le sue stesse gambe.
Dalla gioia di quest’accoglienza iniziano già a circolare nuove idee per il futuro; ad esempio sono interessato a ricostruire la storia dell’insegnamento della lingua italiana dalla nascita dello stato albanese ad oggi, oppure sono molto curioso riguardo le vicende della Fratellanza Evangelica in Albania. Chi vivrà vedrà, per ora sono impegnato come assegnista di ricerca all’Università di Foggia, riguardo all’importanza sociale dei media come costruzione sociale, ma non dimentico i miei interessi di ricerca in terra shqipetara.
Dagli argomenti approfonditi da Ciao Shqipëria! è già nato il progetto “Per una rete delle Istituzioni fra Puglia e Albania” che coinvolge la salvaguardia della cinematografia albanese. Ce ne potresti parlare?
Utilizzando il termine caro alle serie tv, questo “spin off”, il progetto presentato dalla Fondazione Gramsci di Puglia grazie al contributo dalla Regione Puglia – Coordinamento Politiche Internazionali – Sezione Relazioni Internazionali è un tentativo che auspica la realizzazione di alcuni focus teorici analizzati nel corso della ricerca. La cinematografia albanese dell’era socialista rappresenta un unicum, in quanto può essere considerata persino uno strumento diplomatico nella lunga fase di alleanza con la Cina maoista.
Le pellicole albanesi sono tuttora trasmesse nell’emittente di stato cinese un ; come sulla nostra Rete 4 appaiono i film di Peppone e Don Camillo o i classici di Totò, De Sica e Sordi nelle mattinate d’estate nei palinsesti Rai. L’Archivio Centrale del Cinema albanese, partner del progetto insieme alla Regione Puglia e alla Fondazione Gramsci di Puglia è una splendida realtà, un fiore all’occhiello della cultura albanese.
Il materiale presente in archivio rappresenta una miniera d’oro per tutti gli studiosi della storia della cinematografia mondiale; stiamo parlando di un archivio sorto nel 1947, coprendo tutti i generi, dai film classici ai documentari, dalle animazioni e cortometraggi alle cronache. All’incirca oggi ci sono 6576 titoli di film di cui 4351 produzioni albanesi e 2146 pellicole internazionali. L’obiettivo ambizioso da raggiungere in futuro è quello di rendere l’Albania un hub nell’area adriatica per la salvaguardia e la tutela delle pellicole e per la successiva digitalizzazione del materiale cinematografico; si tratta di un lavoro lungo ma si spera che nel corso di anni si possa giungere a risultati concreti.
Nella prima fase del progetto, insieme allo storico e restauratore dell’Archivio Nazionale Cinematografico del Senegal, Marco Lena, abbiamo iniziato un progetto di formazione degli studenti dell’ Accademia di Cinema Marubi e degli addetti ai lavori dell’Archivio del Cinema Albanese sui fondamentali del restauro in pellicola.
Successivamente, si procederà alla creazione di partnership internazionali per la creazione di un sostegno duraturo per l’ingente operazione di restauro dell’Archivio del Cinema Albanese. Come segno concreto di questa collaborazione, si procederà al restauro della pellicola “General Gramofoni”, pietra miliare della cinematografia shqipetara, con l’obiettivo di presentarla a diversi festival per sensibilizzare l’opinione pubblica alla peculiarità della realtà albanese.
La creazione di professionisti locali abili al restauro delle pellicole e la digitalizzazione può essere un argine all’emigrazione; in questo modo, speriamo di contribuire alla nascita di nuovi mestieri, che sono assai richiesti da un mondo come quello dei media, che pur cercando la dematerializzazione dei supporti ha urgente bisogno di salvare il passato. I feedback della prima fase sono stati ottimi. Vi invitiamo a seguire le pagine social della Fondazione dove con fotografie, aneddoti, video pillole potete seguire ciò che è stato svolto e ciò che sarà fatto. Noi ci crediamo!