Alessandro Leogrande (Taranto, 1977 – Roma, 2017) è stato vicedirettore del mensile “Lo straniero”. Ha collaborato con “il Corriere del Mezzogiorno”, “il Riformista”, “Saturno” (inserto culturale de “il Fatto Quotidiano”), Radio Tre.
Ha scritto: Un mare nascosto (L’ancora del Mediterraneo, 2000), Nel paese dei viceré. L’Italia tra pace e guerra (L’ancora del Mediterraneo, 2006), Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (Mondadori, 2008), Le male vite. Storie di contrabbando e di multinazionali (Fandango, 2010), Fumo sulla città (Fandango, 2013).
Ha curato le antologie Nel Sud senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento (con Goffredo Fofi; L’ancora del Mediterraneo, 2002), Ogni maledetta domenica. Otto storie di calcio (minimum fax, 2010). Feltrinelli ha pubblicato Il naufragio. Morte nel Mediterraneo (2011; premi Volponi e Kapuściński), da cui è stata tratta l’opera Katër i Radës, La frontiera (2015), Uomini e caporali. Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud (2016) e, nella collana digitale Zoom, Adriatico (2011).
“C’è una linea immaginaria eppure realissima, una ferita non chiusa, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico.
È sul margine di questa frontiera che si gioca il Grande gioco del mondo contemporaneo. Questa soglia è inafferrabile, indefinibile, non-materiale: la scrittura vi si avvicina per approssimazioni, tentativi, muovendosi nell’inesplorato, là dove si consumano le migrazioni e i respingimenti, là dove si combatte per vivere o per morire. Leogrande ci porta a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste.
Ci porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; ci racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; ci introduce in una Libia esplosa e devastata, ci fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime: così si dà parola all’innominabile buco nero in cui ogni giorno sprofondano il diritto comunitario e le nostre coscienze.
Quanta sofferenza. Quanto caos. Quanta indifferenza. Da qualche parte nel futuro, i nostri discendenti si chiederanno come abbiamo potuto lasciare che tutto ciò accadesse.
Quella parola indica una linea lunga chilometri e spessa anni. Un solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano.
È la frontiera.”
Here it is finally. La Frontiera by Alessandro Leogrande just came out in Albanian. Such a pleasure to have the voice of this precious friend of all Albanians through his books. #AlesandroLeogrande #lafrontiera #kufiri pic.twitter.com/vMIzaOwdLL
— Arlinda Dudaj (@ArlindaDudaj) March 21, 2018
Intervista con Arlinda Dudaj, fondatrice di “Botimet Dudaj”
Salve Arlinda, benvenuta su Albania News!
Abbiamo appena appreso la notizia dell’uscita della versione albanese del libro “La frontiera” di Alessandro Leogrande. In albanese “Kufiri”.
A cosa si deve questa versione, perché la scelta di portare al pubblico albanese questa opera di Leogrande?
Ho conosciuto Alessandro Leogrande come autore agli inizi del 2012, mentre era appena stato pubblicato in italiano “Il naufragio”.
Quando avevo preso in mano quel libro così importante per noi albanesi, il primo pensiero che mi era venuto in mente era stato il seguente: ”Questo scrittore-giornalista italiano ha realizzato ciò che nessun altro suo collega albanese abbia fatto finora. Cioè, documentare quella parte oscura della nostra storia, assumendo l’incarico di fare anche un’apologia a nome dell’Italia e degli italiani per la perdita di 81 vite innocenti, le quali si stavano allontanando dal terribile caos del 1997 in Albania.”
È stato un libro che mi ha fatto capire profondamente quella storia dolorosa leggendo le parole di una persona che conosceva l’Albania a fondo e che la amava infinitamente.
Dopo aver pubblicato “Il naufragio” ed un libretto intitolato “L’Adriatico”, in cui lui parlava del Mediterraneo visto da quattro paesi quali Croazia, Slovenia, Montenegro e Albania, anche questo un libro multidimensionale, è arrivato ergo, “La frontiera”.
Quest’ultimo è stato un libro che ha fatto elevare Leogrande a livello globale da esperta dell’emigrazione, conoscitore del difficile rispettivo percorso, susseguito spesso anche dalla perdita di vite umane, alla ricerca di una vita migliore.
Quindi, questo libro, sebbene non parli più dell’Albania – essa ha ormai superato quella fase disperata di miseria – costituisce tuttavia un libro che ci appartiene, se una volta siamo già passati per quelle vie, ci siamo già imbattuti in quelle coste.
Era stata nostra intenzione promuoverlo a marzo di quest’anno a Tirana, ma la tragica scomparsa di Leogrande non ha purtroppo consentito la sua presenza. Tuttavia, questo libro, come un testamento pregiato è arrivato in albanese e noi lo presenteremo a dovere per far sì che lui non venga dimenticato.
Un binomio: “Albania e Frontiera”. L’Albania nella storia ha lottato per i suoi confini. In seguito, in circa mezzo secolo di dittatura, gli albanesi sono rimasti intrappolati nella gabbia ermetica che si chiudeva con la chiusura delle sue frontiere.
Quanto, questo binomio è significativo e al contempo, doloroso per gli albanesi?
Un binomio tanto bello, quanto doloroso.
Nel nostro passato storico combattevamo per determinare le frontiere, in seguito, l’oltremare lo osservavamo come terra promessa, come l’unica speranza di una vita migliore, piena di colori tra il grigiastro che aveva avvolto l’Albania sotto dittatura.
E sempre in silenzio dentro di noi fremevano un desiderio ed una ammirazione per un paese a cui non avevamo calpestato il suolo, ma che lo avevamo visto in televisione in bianco e nero attraverso le apposite antenne televisive, le uniche che, clandestinamente potevano varcare le frontiere invalicabili.
E per questo motivo che ciò sembra che sia un binomio che ci accompagnerà ancora per un po’, finché non avvenga un notevole cambio generazionale.

Quella linea immaginaria come punto nevralgico che divide il mondo: La frontiera.
In che misura Lei pensa che l’esodo di massa degli albanesi verso le coste italiane sia in un certo modo rispecchiato in “La frontiera” di Leogrande, anche se come un riflesso, anche se già trattato in precedenza dall’autore nella dimensione e con la tragicità di “Il naufragio”, Katër i Radës?
Io penso che il libro “Il naufragio” sia stato proprio il primo impulso, come dire, è arrivato a seguito del lavoro che Leogrande aveva investito nell’osservazione dei movimenti migratori.
Naturalmente – così come riporto nella considerazione succitata – con quest’altro libro lui ha sviluppato la questione a livello globale, si è occupato dei paesi arabi, Camerun, Sudan, Eritrea, Libia … dei loro problemi politici, delle molteplici cause che spingevano la gente ad intraprendere la via dell’emigrazione senza nessuna garanzia per la loro vita, ma semplicemente fuggendo speditamente, al contempo, focalizzandosi su diversi personaggi, interrogandoli ed analizzandoli singolarmente.
In questo modo si percepisce l’affetto e l’umanità di una persona che cerca di scrivere, proprio perché intende aiutare, perché prova compassione e pensa che alzando la voce, può dare una mano a svegliare la coscienza umana e combattere il razzismo, che per lui risulta essere una storia ripugnante.
Ed ecco che proprio qui io noto la correlazione anche con la nostra storia. I personaggi in “La frontiera” lui li ha trattati con lo stesso affetto e compassione, così come in modo analogo ha trattato anche quelli di “Il naufragio”.
La scomparsa prematura del giornalista ed autore, quanto ha toccato il pubblico albanese, quanto il lettore albanese si era affezionato al giovane autore italiano, sempre dalla parte degli ultimi e che tra l’altro appunto, per gli albanesi aveva scritto anche “Katër i Radës”?
La sua perdita ci ha rattristato tutti, tutti coloro che lo conoscevano personalmente e coloro che lo avevano conosciuto attraverso i suoi libri.
Aveva fatto così tanto per l’Albania e la amava incondizionatamente. La sua perdita ha addolorato anche tanti amici albanesi che Alessandro aveva conosciuto nelle sue visite frequenti in Albania, scrittori quali Ardian Vehbiu, Diana Çuli, Fatos Lubonja, noti giornalisti albanesi quali Blendi Fevziu, Rudina Xhunga, lo storico Artan Puto ecc.
Tutti ricordano Alessandro come una persona devota al suo lavoro, serio e che ha offerto un immenso supporto all’Albania ed agli albanesi.
Come sappiamo, “Confine” è, letteralmente, “cum-finis”, ciò che mi separa e nel contempo ciò che mi unisce, quello che ho in comune con l’altro, qualunque cosa l’altro o l’oltre sia o significhi. Questo costituisce semplicemente l’ambiguità del confine.
A tal proposito, come vede l’approccio dell’Albania nell’UE?
In italiano il termine suona bene, ma sembra davvero ambiguo.
Penso che l’Albania si stia avvicinando sempre più al valico di questa frontiera e l’accesso alla Comunità Europea costituirà la realizzazione di un sogno per gli albanesi, ma che al contempo riporta al suo interno delle responsabilità e degli obblighi da rispettare.
Lei è fondatrice e direttrice di una delle case editrici più importanti e dinamiche dell’Albania, presente in vari Saloni Internazionali del Libro, anche perché fate molte traduzioni. Come la vede posizionata dall’ aspetto editoriale l’Albania nei confronti degli altri paesi balcanici?
È vero che noi siamo molto presenti nelle fiere e nei festival internazionali del libro, anche perché molti dei nostri autori sono stranieri e dalla fama internazionale.
Modestia a parte, rappresentando pur sempre un piccolo mercato, mi sento alla pari non solo con gli altri paesi balcanici, ma dal punto di vista professionale, dall’approccio e dalla presentazione, anche con dei paesi occidentali.