“Non fui io a portarvi la libertà, ma la trovai qui, in mezzo a voi. La libertà l’avete ovunque, nel petto, sulla fronte, nella spada e sugli scudi … Portatemi ora, con l’aiuto di Dio, a liberare tutta l’Albania”.
dal discorso della liberazione di Kruja 1443.
Una bussola di lettura nella grande mappa della storia – per il “Soldato di Cristo”, il “Difensore della Cristianità”. Un nuovo Alessandro vissuto nel secolo XV, Giorgio Castriota – detto Scanderbeg, uno dei più grandi uomini di tutti i tempi, quasi un semidivino.
Scanderbeg. Una biografia ritrovata a cura di Lucia Nadin (Besa Muci Editore, 2021)
Un libro capace di creare immagini e di portarci davanti agli occhi la magia del teatro, perché la sua scrittura, è una scenografia essenziale che rievoca l’antichità. Una testimonianza del passato, una rianimazione della memoria, un passaggio continuo di civiltà da tempo a tempo, da sponda a sponda, da osservazioni che narrano e da immaginazioni, perché qualcuno deve continuare a creare le legende, perché qualcuno deve continuare a raccontare le storie antiche.
Per il nostro più grande eroe nazionale, lo aveva fatto Marin Barleti – il maggior biografo di Iskender Bey, vale a dire “Bey Alessandro, Alessandro il Signore, Alessandro il Grande”; lo ha fatto anche Giancarlo Saraceni nel 1600, in una Venezia ambigua – nello specifico clima di Lepanto, portando fino a noi oggi – una biografia chiara e sintetica, frutto di una concretezza tutta veneziana, ma aperta anche all’epico e anche al fiabesco, testimonianza di quanto l’Albania sia stata presente nella storia culturale della Serenissima; una biografia trovata e curata con passione dalla professoressa Lucia Nadin, la quale ha dedicato la sua vita alla ricerca, ricostruendo il fenomeno dell’emigrazione albanese nelle province venete tra il XV e il XVI secolo con il libro Migrazioni e integrazione. Il caso degli albanesi a Venezia (1479 – 1552), ricreando il ricordo di un’Albania al di là dell’Adriatico che si trovava a essere “zona di cuscinetto tra ovest ed est, terra di transito per il progetto ottomano di conquista verso tutta l’Europa” – spiegando così il grande ruolo geopolitico che “essa avrebbe potuto giocare se avesse conosciuto una vera e propria opera di unificazione, oltre i piccoli principati locali”.
“La storia non è meccanica, perché gli uomini sono liberi di cambiarla”, diceva lo scrittore arbëresh Ernesto Sabato, ed è per questo che in Sud Italia, grazie alle comunità arbëreshe, tutti conoscono Scanderbeg.
È per questo che a Venezia esiste “Calle degli Abanesi”, “Campiello degli albanesi”, “Ramo degli Albanesi” e al Lido “Via Scutari” – nome di una città che era via di collegamento tra il cuore dell’Europa e l’Adriatico, nonostante non fosse direttamente sul mare, ma grazie al lago, si collegava al suo sistema fluviale. È per questo che a Roma (e non solo) esiste una piazza Scanderbeg, per ricordare gli stretti rapporti tra i nostri popoli, perché a volte, più riusciamo a guardare indietro, più riusciremo a vedere in avanti, e tornando indietro, vediamo la statua del gigante Scanderbeg sul Bucintoro, un gioiello d’arte nel quale Venezia visualizza la storia in cui ama specchiarsi e che tramite le forme del mito, racconta le vicende che avevano fatto dialogare per secoli le sponde dell’Adriatico.
Tornando indietro, vediamo uno dei più grandi generali dei tempi passati e odierni come condottiero, un difensore della fede – il leone albanese che per quanto ha vissuto, ha portato in petto l’amore per la sua terra e la libertà. Un leone – tradito dalla sua gente.
Tornando indietro, la biografia ritrovata di Giancarlo Saraceni e curata da Lucia Nadin, mette in evidenza che Scanderbeg fu come Orlando paladino di Carlo Magno, come Achille eroe di Omero, come Ercole divinità della Mitologia, perciò bisogna continuare a raccontare, perché siamo parte di una storia infinita.
