Liljana Cuka Maksuti, traduttrice, ha studiato presso l’Università di storia e filologia di Tirana e si è specializzata in linguistica comparativa tra le lingue slave balcaniche e albanese. È stata stagista presso Radio Tirana come traduttrice di lingua bulgara, ha lavorato nel campo della traduzione dalle lingue serbo-croato e macedone, presso l’Ambasciata albanese a Belgrado e in seguito, con le stesse lingue, all’ufficio diplomatico di Tirana. Ha scritto varie recensioni di opere letterarie pubblicate da riviste albanesi.
Trasferitasi in Italia, da molti anni collabora con alcune Istituzioni del nostro Paese, sempre in ambito linguistico. Nutrendo una grande passione per la letteratura, si è cimentata nella traduzione delle opere letterarie, con la trasposizione in lingua albanese del libro di Vittorio Trani Tra il serio e il faceto, pubblicato a Tirana nel 2005. Attualmente è la traduttrice delle opere di Ismail Kadare per La Nave di Teseo Editore, partendo dalla lingua d’origine dell’autore.
Ho avuto modo di incontrare Liljana al termine della sua partecipazione alla XXXV edizione del Salone del libro e di scambiare qualche impressione sulla kermesse torinese e sul suo ruolo di traduttrice.
Due parole sulla sua esperienza al Salone del libro di Torino.
È stata un’esperienza meravigliosa, perché ho potuto far emergere la mia professionalità. In me vivono due Liljana, quella albanese e quella italiana, ma prima di ogni cosa vengono il mio carattere e il mio punto di vista circa i rapporti tra Italia e Albania e in quella specifica circostanza ho potuto esprimere il mio reale pensiero.
Sono intervenuta già durante la prima giornata del Salone, in uno degli incontri organizzati in Sala Albania, La città di pietra: Kadare, lo scrittore e il tempo, durante il quale mi sono confrontata con la Ministra Elva Margariti e lo scrittore Alessandro Mezzena Lona sull’opera di Ismail Kadare e sulla sua figura di scrittore.
Kadare, a mio avviso, è riuscito, attraverso la sua scrittura, a portare la questione albanese all’attenzione pubblica internazionale: mi identifico molto con il suo pensiero. Grazie al suo operato è emersa la dimensione della spiritualità del popolo albanese nei Paesi balcanici. Non va dimenticato che gli albanesi sono il popolo più europeo di ogni altro nei Balcani, per le peculiarità che lo caratterizzano e per il modo di pensare e di essere.
Di Kadare hanno parlato tante penne illustri internazionali. Mi preme, inoltre sottolineare che, come lo stesso autore ha raccontato, si è ispirato alla scrittura di William Shakespeare. Sin da tenera età ricopiava a mano i testi del grande scrittore inglese. Si può asserire che Kadare abbia reinventato la lingua albanese, come è noto che quella inglese sia stata riscoperta da Shakespeare. In una delle interviste, è emerso che grazie allo studio della letteratura shakespeariana, l’autore albanese è riuscito a conferire alle sue opere lo spessore noto a tutti noi.
Cosa ha significato per lei tradurre un autore come Kadare?
Tradurre Kadare ha costituito una grande responsabilità e soprattutto ha comportato una profonda conoscenza dello scrittore e la passione per la sua scrittura.
È da giovanissima che leggo i suoi libri. Ricordo ancora quando ha fatto visita al paese dove vivevo e del quale mio padre era sindaco, Patos, un comune della Prefettura di Fier. Avevo 14 anni quando l’ho ascoltato per la prima volta: era il periodo del comunismo, ma in quella città c’era una bella vita letteraria.
Già da allora ho compreso quanto la sua opera si immedesimi con gli albanesi che hanno vissuto la propria terra, quella di un popolo glorioso, che si è costruito. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna e l’onore di incontrarlo varie volte e di realizzare con lui delle interviste incentrate sulla sua opera e sulla situazione albanese, che sono state poi pubblicate su giornali come “la Repubblica”, “La stampa” ecc.
Sul Corriere della sera è finito il bellissimo racconto Provaci ancora Orfeo, dedicato al musicista mitologico che ha scombussolato e rivoluzionato l’Olimpio, aggiungendo due corde in più alla lira. “Ma questo – si mormora negli ambienti vicino a Zeus – cambia tutto: se andiamo avanti cosi dove finiremo?“. Si tratta di una metafora dell’Albania dei tempi del comunismo. Questi incontri sono stati per me molto emozionanti e resteranno sempre impressi nella mia memoria.
Quali sono le opere di Kadare che ha tradotto?
Ne ho parlato anche durante l’incontro al Salone del libro. La bambola, un romanzo che l’autore dedica a sua madre, una donna sensibile e indebolita dal confronto con le tradizioni balcaniche; un figlio libero e indipendente, di cui teme l’abbandono vista la dedizione al suo percorso intellettuale. Quindi un’opera dedicata alla sua genitrice e all’Albania stessa.
Le mattine al Café Rostand, un vero capolavoro. Il Café Rostand è un luogo noto della Parigi letteraria che diventa un riferimento per lo scrittore, per leggere e scrivere, un rifugio che gli permette di evocare Tirana e Mosca, l’Accademia di Francia e il Macbeth, il premio Nobel ma anche gli amici e i compagni imbavagliati dalla dittatura. In questi racconti Ismail Kadare sottolinea la sua passione per una vita dedita alla scrittura e all’arte.
Aprile spezzato, uno dei romanzi simbolo del grande autore, un classico senza tempo della letteratura europea, dove le regole del Kanun, il simbolo della vendetta, la Storia d’Albania e l’amore creano un interessante amalgama.
La provocazione è un racconto fulminante sulla guerra, la nostalgia, il desiderio e la potenza silenziosa della natura. Tutti i volumi sono stati pubblicati da La nave di Teseo. Ho anche tradotto Il successore, che fa riferimento all’omicidio/suicidio di Mehmet Shehu e Le conversazioni con la giornalista Alda Bardhyli, due testi che non hanno ancora trovato pubblicazione.
Naturalmente non mi sono dedicata solo alla traduzione di Kadare. Voglio menzionare Per te terra mia. Le confessioni di Gjon Nikola Kazazi, (titolo in originale Le confessioni di Gjon Nikola Kazazi) di Jusuf Buxhovi, Conversazioni con Madre Teresa di Lush Gjergji e Il volo sopra il teatro del Kosovo del grande scrittore e drammaturgo Jeton Neziraj.
Quali sono stati gli altri suoi interventi al Salone del libro?
La zona Dantesca. Cultura vicina/Influenze condivise, un appuntamento molto costruttivo e interessante, che ha visto la partecipazione di Besnik Mustafaj e di Julian Zhara, durante il quale si è sottolineato come Dante sia stato argomento di studio anche in Albania. Lo stesso Kadare ha evidenziato questo, facendo un parallelismo tra l’Inferno e la dittatura comunista. Inoltre, mi hanno chiesto di esserci in un evento dedicato a Petro Marko e Jakov Xoxa, cosa che mi ha fatto molto piacere, in quanto mi ritengo una buona conoscitrice della loro letteratura.
Sia in Italia che in Albania, la rosa dei traduttori – albanese/italiano e viceversa – realmente competenti si restringe sempre più, mentre si allarga quella degli improvvisati a discapito del libro e dell’autore stesso, con conseguenze molto pesanti, che tendono ad allontanare il lettore da una letteratura qualitativamente preziosa. Cosa pensa a tal proposito?
Sono traduttrice e ho anche insegnato la lingua della quale ho maggiore padronanza. Ho avuto la fortuna di svolgere il mio percorso di studi nell’ambito delle lingue e delle lettere quando si studiava seriamente la linguistica, considerandola una scienza. Non ci si può improvvisare linguista: è fondamentale fare uno studio approfondito a partire dalla propria lingua.
La lingua scritta non è la lingua parlata: non si può scrivere come si parla. Il grande Claudio Magris dice che la letteratura non è solo un modo per interpretare la realtà, ma anche per arricchirla e ispirarsi. Questo è avvenuto con la mia generazione: leggendo un autore come Kadare, in un paese che si era proclamato ateista, la letteratura ha sostituito la teologia.
In Albania, le generazioni come la mia si sono nutrite di letteratura. Si, all’epoca esisteva solo una casa editrice monopolio dello stato, ma pubblicava capolavori, con una traduzione molto attenta alla bellissima lingua letteraria albanese.
Essere linguista e traduttore significa avere padronanza non solo della propria lingua, ma anche della letteratura che ha prodotto la cultura della medesima. Per citare Alessandro Manzoni, le parole sono il risultato della lingua e non solo: la grammatica e la sintassi rappresentano le regole che governano il collegamento tra le parole.
Vediamo quotidianamente i risultati eccellenti che arrivano dall’uso della tecnologia o della stessa intelligenza artificiale, che sta prendendo sempre più piede anche nel mio lavoro. È fondamentale sapere però, che dietro questo uso c’è la profonda conoscenza della lingua e una competenza certificata.
Non dico che l’utilizzo della tecnologia non sia importante, ma il rischio è che si pensi di ottenere buoni risultati, rifuggendo dalla conoscenza del sentimento, dalla lingua del popolo al quale si appartiene e da quella dell’altro al quale si vuole parlare attraverso l’opera di traduzione. Nulla si deve dare per scontato, soprattutto il pensiero.