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Le memorie e le speranze dell’Albania, secondo Christian Elia

Recensione del libro Grande Padre. Viaggio nella memoria dell'Albania di Christian Elia

Vito Saracino Vito Saracino
24 Ottobre 2022
Christian Elia

Christian Elia

In controtendenza rispetto alle variopinte immagini dell’Albania estiva, che gradualmente sta entrando nel mosaico delle mete turistiche europee, mi imbatto nella forza ipnotica del bianco e nero profondo, emanata dal lavoro Grande Padre. Viaggio nella memoria dell’Albania edito da Milieu nel 2022, in cui lo stile narrativo di Christian Elia si emulsiona caparbiamente con gli scatti pregnanti di passione di Camilla De Maffei.

Le chiavi di lettura

Grande Padre è un libro fatto di incontri, di voci, di sguardi e di prospettive che si uniscono in un poligono perfetto, al cui interno compare l’Albania, o meglio gli albanesi, i quali rappresentano il soggetto principale della narrazione, in una centralità che l’autore propone e attua con metodo, eleganza e con una lodevole capacità di immedesimazione nella realtà sqhipetara raccontata.

Ogni breve capitolo, all’interno del quale si alternano parole e immagini, viene rappresentato da una parola chiave; l’insieme di queste keywords (Libertà-Shah-Viaggio-Nostalgia-Memoria-Simboli-Potere-Soluzioni-Lavoro-Terra-Tirana-Dedalo-Italia-Incontri-Shtëpia) è paragonabile a quello di chiari segnali stradali, che si rivelano molto utili in questo intenso viaggio nelle strade non mainstream delle storie d’Albania.

Nel percorso segnato dagli autori non emerge la presunzione di dare risposte nette, bensì la necessità di diventare un megafono, voce viva dei soggetti smarriti, che si interroga su quella nerissima fame di libertà delle generazioni precedenti, chiedendosi se si sia trasformata in un’immacolata e bianca società libera o se il grigiore e le ombre del passato continuano a rappresentare una pesante  ancora per la nave albanese, che, in realtà, ha fretta di navigare velocemente.

Grande Padre. Viaggio nella memoria dell’Albania
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Frontiere e migrazione

Il volume di Elia rappresenta un impetuoso tuffo verso i bagliori di un mondo differente, simbolicamente rimembrato dalla struggente storia di due cari amici Tonin e Pjerin, che “rimane addosso” all’autore.

“Tonin Gjini nel 1987 era un nuotatore professionista, in odore di Olimpiadi, se non fosse che il regime preferiva le autarchiche Spartachiadi. Aveva 22 anni, Tonin, quando nel villagio di Velipoje, nell’Albania settentrionale, con il suo migliore amico, Pjerin Gjeka, si tuffò. Nuotò 18 chilometri, lungo la costa, fino ad arrivare a Ulcinj, allora parte della Jugoslavia, oggi Montenegro. Pjerin, a pochi metri dalla costa, annegò. Tonin ce la fece”

Il turbinio di immagini e parole prosegue impetuoso, approfondendo concetti centrali come quello del dogma della “frontiera”, in Albania intesa più come “una terra di mezzo tra lingue e culture, rispetto a una rigidità di confini” spesso chiusi nel rude passato hoxhiano, o come le riflessioni sulle migrazioni interne al Paese e sui tentativi rocamboleschi di fuga verso le ambasciate straniere prima e verso l’estero dopo.

Il passato (non) è il presente

“Grande Padre” parla al presente, ostinandosi a guardare al passato per il raggiungimento della consapevolezza; sembra avere  la stessa volontà della moglie di Lot, che pur temendo le conseguenze di tale atto, preferisce guardare in faccia la verità e voltarsi indietro, osservando con i propri occhi la distruzione di Sodoma.

Il passato dell’Albania, del Socialismo Reale appare proprio come qualcosa a cui non pensare più, giorni antichi, spesso volutamente tralasciati, da non far entrare più nelle discussioni intergenerazionali; nel libro si narra anche di genitori che omettono tasselli della propria gioventù e di figli, come Anri Sala, che usano l’arte per riempire quelle caselle lasciate vuote dai padri nel complicato cruciverba del loro passato, ricordando così, i tanti tentativi riusciti o meno, di scoperchiare il vaso di Pandora dei delitti e delle pene del Grande Padre dei tempi che furono.

Ci si interroga a lungo su un lento e inesorabile passaggio di consegne da questo deus ex machina, appunto il Grande Padre del passato socialista, all’avvento di un caleidoscopico Grande Padre liberista, camuffato dalle mille libertà definite “da format”, che non permettono però la piena trasparenza e il libero accesso a quelle storie di ieri, che si intersecano inevitabilmente con quelle di oggi, anche a causa di una voluta o meno scelta di raccontare quel lungo periodo trascorso in maniera neutra.

Durante la lettura, risulta facile immaginare come questo percorso di ricostruzione del tetto della contemporaneità albanese abbia avuto l’apporto fondamentale, rappresentato dalle tegole delle testimonianze di un passato così vicino ma così lontano.

Questo lavoro collettivo è paragonabile a una trasferta in uno dei tanti bus che si possono prendere dalla futurista Tirana per raggiungere i singoli villaggi d’Albania. In questo percorso la scrittura di Chicco Elia è abile nel dar voce a ogni passeggero, attraverso le parole e ricordi che i testimoni donano e condividono sia con l’intervistatore, che con il lettore.

“Quelle parole che marcivano, come foglie cadute dal ramo, nello stomaco di centinaia di migliaia di persone, sono una forma di resistenza. O quelle dette, ad alta voce, per rivendicare la propria alterità. O anche accennate, magari nell’orlo di una gonna un po’ più corta, o nei pantaloni a zampa di elefante, che caratterizzavano quella minima apertura del regime prima che tutto crollasse”.

La tragedia e la speranza

Grande Padre è una lettura di ampio respiro che raggiunge  le viscere della nazione delle Aquile, la miniera di Bulqizë, dove i lavoratori in passato celebrati come eroi, oggi seppur liberi, si trovano intrappolati dalla mole di lavoro e dal Panopticon della grande richiesta di cromo, con i profitti dell’industria che hanno conseguenze tragiche se pensiamo ai 32 morti dal 2014, come riportato dall’autore.

Ma è proprio dal luogo impervio e sotterraneo, proprio da quella periferia d’Europa che rinasce la speranza e la battaglia, come si racconta incontrando i responsabili di Organizata Politike, sperando che dalla tutela dei lavoratori e dalla creazione di movimenti di appartenenza politica, possa nascere un nuovo impegno.

Alla fine del percorso si annusa l’essenza della speranza, come dopo la lettura di ogni libro capace di risvegliare la coscienza e l’amore per quella Shtëpia-casa dimostrando come, a detta dell’autore e anche di tutti coloro che per caso, per nascita o per fortuna hanno incrociato il mondo shqipetaro “L’Albania non è solo un luogo fisico, è appartenenza, è uno stato mentale”.

Argomenti: Christian EliaVito SaracinoEdizioni MilieuEnver Hoxha
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